IL GRAVE PECCATO DEL "SILENZIO"

06/03/2016

A Los Angeles, in questi giorni, ha preso il premio Oscar per il miglior film “Il caso Spotlight” prodotto da Michael Sugar perché smaschera, in modo sconvolgente e durissimo, le vittime degli abusi sessuali dei preti pedofili, coperti a lungo dal clero di Boston.
Solo i numeri spaventano e obbligano a farci domande molto preoccupate. Tra il 2004 e il 2013 il Vaticano ha cacciato 884 preti accusati di pedofilia, riducendoli allo stato laicale. E gli ultimi dati messi a disposizione dalla Santa Sede, risalenti al 2014, parlano di 3420 casi giunti alla Congregazione per la dottrina della fede, fondati su accuse credibili di abusi sessuali commessi dal clero.
Il produttore ha approfittato dalla risonanza e dall’amplificazione data dall’Oscar per invitare Papa Francesco a proteggere queste piccole vittime e per riportare dentro la chiesa la fede, fortemente offuscata e tradita.
Non è la prima volta che lancio dalla stampa l’invito ai Vescovi perché sia rivista e cambiata radicalmente la formazione dei preti. L’allevamento in “batteria” nei seminari è contro ogni principio pedagogico, educativo e preventivo. L’adolescenza va vissuta in libertà nelle sedi naturali e familiari, evitando istituzioni totali e metodologie vecchia maniera.
Hanno fondato la chiesa in dodici. Non credo che la quantità debba prevalere sulla qualità, sulle selezioni pazienti, delicate, profonde e attente. Se il prete deve essere pastore e capace di vivere i problemi, i dolori, i rischi e le situazioni della sua gente, non può vivere sradicato proprio gli anni più delicati della sua crescita fisica, psichica e umana.
La povertà, poi, la precarietà e l’esperienza diretta e prolungata oltre gli studi, in settori e periferie particolari, debbono aiutare i candidati per un verso e i responsabili per un altro, a capire meglio e a suggerire le scelte definitive. La fede non può sostituire o scavalcare la natura e la predisposizione non è la sola e nemmeno la prima delle doti esigibili. Una chiesa più profetica, meno “clericale”, cioè meno impegnata nelle attività sacramentali e più spinta sui fronti delle Beatitudini, spero possa rimediare in fretta al grave peccato del “silenzio”.
Cito da ultimo il tema del celibato perché non credo sia il problema e la causa principale. Fare il prete oggi, significa vivere una tipologia di vita che combatte e testimonia mentalità profondamente diverse, non solo per motivi religiosi, ma perché vuole una qualità di vita uguale per tutti.
Cristo è venuto al mondo perché l’uomo sia più uomo e perché gli ultimi valgano quanto i primi. Per questo ha lavato i piedi, ha inventato “la cena” e ha mandato i suoi apostoli nel mondo non a fare gli architetti e gli impiegati ma a morire martiri.

Don Antonio Mazzi