QUEL TERRIBILE VUOTO DI VALORI CHE TRASFORMA UN RAGAZZO IN OMICIDA

06/09/2019

Già la settimana scorsa, riflettendo sul caso Federico, ci facevamo alcune domande circa il complicatissimo mondo interiore dei nostri giovani che uccidono o vengono uccisi a causa delle nuove sostanze che entrano disinvoltamente nel mondo normale per trasformarlo pochi minuti dopo in mondo disperato.
Oggi ci troviamo davanti a un'altra storia molto diversa negli sviluppi drammatici esteriori, ma che ci disorienta ancora di più. In due righe ecco cosa è successo. Siamo nelle valli novaresi. Nella piazzetta di Cureggio un gruppetto di ragazzi si sta domandando perché Alberto, amico comune, abbia ucciso Yoan, altro amico comune, per la vaga e ipotetica gelosia che la sua ragazza lo avesse lasciato per avergli preferito l’amico. Alberto Pastore, 23 anni, per tutti i suoi amici era un ragazzo simpatico e normalissimo e le dichiarazioni lasciate da lui nel video sembravano dettate da un altro, tanto erano fredde, ciniche, assurde.
Come può essere che Alberto, da amico di squadra, in poche ore divenga autore di un omicidio così efferrato? Di questo discuteva il gruppo.
A poche centinaia di metri, davanti al fossato sotto un muretto di due metri, invece, un altro gruppetto, composto da due uomini e tre donne, copriva il luogo del delitto con due orchidee e una composizione colorata addobbata con un grande cuore e un messaggio con le firme delle due famiglie: “Yoan da chi ti ama”.
Questo secondo gruppo ci pone domande ancora più delicate. Era composto dalla madre di Yoan Leonardi, dalla sorella Fanny, dal suo ragazzo, e dai genitori di Alberto, il carnefice, Helené e Ivano Pastore. Silenzio, dolore, sofferenza infinita che Fanny spiega con poche parole: «Non ci siamo detti niente. Loro stanno male come noi. Abbiamo deciso di portare insieme i fiori. Ci conosciamo da sempre. Noi viviamo nella casa costruita dal nonno di Alberto.
Mentre il ventitreenne Federico di Padova testimoniava i disagi di una famiglia più che normale, Yoan sintetizza i destini di due famiglie amiche da generazioni, nella disperata dissociazione di Helené, la mamma di Alberto: «Non riconosco più mio figlio.
Metto insieme i due fatti perché ci obbligano a leggere i loro sviluppi, oltrepassando le definizioni delle famiglie e dei genitori di ieri, perché queste nuove tipologie di disagio stravolgono tutti, buoni e meno buoni, giovani e adulti. Parole che fino a ieri erano capaci di chiarire, descrivere e interpretare, oggi sono diventate parole che confondono e disturbano. Può il digiuno di sogni, di passioni, di progetti diventare causa di misfatti così inspiegabili? Può il “vuoto” di valori trasformarsi in maledizione e carneficina?



don Antonio Mazzi