Martedì 12 febbraio: volo Milano – Reggio Calabria. Appena atterrato, chiedo al collega che è venuto a prendermi in aeroporto se è possibile andare a visitare la tendopoli di San Ferdinando (RC).
La tendopoli, con l’adiacente baraccopoli, sono tristemente note per lo stato di abbandono in cui si trovano a vivere gli immigrati, ma soprattutto per i vari incidenti che si sono succeduti in questi anni. Nell’ultimo - nella notte tra venerdì e sabato, poche ore dopo la mia visita - ha trovato la morte un’altra vita umana, quella del senegalese Ba Moussa, dopo il gambiano Suruwa Jaithe e la giovane Becky Moses.
È giovedì. Ci dirigiamo verso la tendopoli, percorrendo la SS 682 che collega la costa jonica al Tirreno. Appena superata la parte più alta del tragitto si apre davanti a noi la distesa di Gioia Tauro. Si vede sullo sfondo l’isola di Stromboli e, abbassando di poco lo sguardo, le gru del porto che avrebbe dovuto essere uno dei motori dello sviluppo economico della regione. Allo stato attuale sembra che molte delle navi, che attraversano il Mediterraneo, preferiscano allungare la rotta fino ad Amburgo, per poi far transitare il loro carico di merci via terra in tutta Europa.
Ci avviciniamo sempre più e i cartelli stradali indicano le uscite per le varie aree industriali, ma la sensazione è che di industriale ci siano solo i capannoni vuoti. Usciamo in direzione della seconda area e lungo la strada cominciamo ad incrociare, in numero sempre maggiore, gli immigrati sulle loro bici sgangherate che, con stivali e pantaloni sporchi di terra, ritornano dal lavoro nei campi, per il quale sono pagati pochi euro al giorno.
Arriviamo alla tendopoli, poco meno di un centinaio di tende della Protezione Civile. in ciascuna mediamente vivono sei persone. Per i bagni ci sono dei moduli ma Fabio, operatore della Caritas, ci fa capire chiaramente che non bastano per le circa cinquecento persone presenti. Le donne sono un po’ più fortunate: hanno un piccolo modulo abitativo. In totale ce ne sono una quindicina. Tutto è gestito da una decina di operatori che, per poche centinaia di euro al mese, assicurano un servizio 24 ore su 24, per sette giorni la settimana.
Facciamo un giro, salutiamo un po’ di persone e parliamo con loro. Si avvicina un ragazzo senegalese, il suo sorriso sembra stridere con tutto quello che c’è intorno. Mi chiede come mi chiamo: “Massimo” gli rispondo e proseguo sforzandomi di ricordare, grazie ad un viaggio in Senegal di qualche anno fa, qualche parola in Wolof, una delle lingue parlate nel Paese. Ecco, ricordo qualcosa, gli chiedo: “No to do?” che vuol dire “come ti chiami?”. Mi risponde subito: “Ismaele”. Poi mi guarda, mi sorride di nuovo e, quasi incredulo, mi chiede se parlo in Wolof. Gli racconto del mio viaggio e che, purtroppo, non ricordo più di tanto della sua lingua. Ismaele è della Casamance, uno dei luoghi più verdi e rigogliosi dell’Africa e ora si ritrova a vivere, In Italia, nella tendopoli di San Ferdinando.
Io e Fabio proseguiamo alla ricerca dell’Imam della tendopoli, che per tutti rappresenta un’autorità religiosa e morale al tempo stesso. Lo troviamo, è un uomo grosso ma affabile che ancora non parla bene l’italiano. Gli chiediamo se è possibile andare a visitare la baraccopoli. Lui si offre subito di accompagnarci… non si entra nella baraccopoli se non accompagnati da qualcuno di loro e, parlando un po’ con lui, credo di aver capito che certe zone siano interdette a tutti.
La baraccopoli è a poche centinaia di metri dalla tendopoli. Appena oltrepassata quella linea di confine è come ricevere un pugno nello stomaco. Quando si solleva lo sguardo ci si ritrova catapultati in un altro mondo, in un’altra realtà. Non siamo più in Italia, non siamo più in Europa e nell’occidente opulento in cui si viene a cercar fortuna. Siamo all’Inferno: da qui i tanti disperati cercano di risalire l’ennesimo girone dantesco in cui si ritrovano.
Potremmo trovarci in uno dei tanti slum di una città africana. Manca l’elettricità e non c’è acqua corrente, le condizioni sono disumane e ledono qualsiasi dignità dell’essere Uomo. Ci addentriamo nella baraccopoli facendo attenzione a non finire in una delle tante pozzanghere che tappezzano il terreno. È una vera e propria città, con i negozi, i luoghi di aggregazione, l’officina per le bici, la moschea, e chissà quant’altro. Tutto fatto di baracche. Durante il nostro giro arriviamo agli scheletri di alcune baracche bruciate. Ci dicono che quello è il punto in cui ha trovato la morte mesi prima Becky Moses. È ancora tutto lì.
Ci rincamminiamo, quindi, verso “la tendopoli” perché, a metà strada tra la baraccopoli e la tendopoli “ufficiale”, vi è un altro agglomerato di tende. “È la tendopoli “ufficiosa” - ci racconta sempre Fabio. - Qui si sta un po' meglio della baraccopoli ma peggio della tendopoli ufficiale. Insomma è il purgatorio, tra l’inferno ed il paradiso” – chiosa alla fine del suo racconto.
Eccoci di nuovo nella tendopoli “buona”. Continuiamo a conversare con Fabio, che non sa dirci cosa succederà di lì a qualche mese, intanto sono anni che si va avanti in questo modo. Stiamo per salutare e andare via quando ricompare Ismaele. Mi viene incontro, sempre col suo sorriso. Non ricorda il mio nome, me lo richiede e mi abbraccia salutandomi.
Benvenuto in Italia, Ismaele! Benvenuto nella tendopoli, Ismaele! Benvenuto in “Paradiso”!
Massimo Salvatore