Leggo sempre con una certa inquietudine interiore le diatribe e gli sgambetti intrafamiliari inventati o subiti tra membri di coppie “interrotte”. La mia inquietudine nasce da ragioni contraddittorie, a scavalco tra la voglia di interpretare con serenità, evitando i soliti moralismi nei quali noi preti siamo specializzati, e la particolare attenzione alle eventuali vittime, che sono i figli.
Mi pongo, quindi, non come giudice, non solo come prete, ma come educatore. Il caso di Modena, accaduto in questi giorni, invece, mi rovescia addosso un problema in più o meglio aggiunge una penombra che mi inquieta ulteriormente.
Trattasi di un figlio di 28 anni con genitori divorziati. Come avviene solitamente nei tribunali, quando alla fine si condividono diritti e doveri, esce il mantenimento dei figli, fino alla maggiore età e/o fino al conseguimento degli studi, già iniziati. Poiché tocca ai padri farsi carico, non sempre i pareri sono scontati.
L’orientamento della Giurisprudenza, da qualche tempo, va interpretando, con troppa magnanimità, l’assegno di mantenimento dei figli. Nel caso di Modena il figlio di 28 anni, giunto quasi alla fine degli studi universitari (e qui trattasi di laurea in lettere) anziché completare l’iter, si iscrive al corso di cinematografia sperimentale, allungando perciò i tempi del mantenimento.
Il padre reputa che al figlio non spetti questo ulteriore sostegno economico, non avendo compiuto scelte lavorative per l’autosostentamento. I giudici hanno dato torto al padre. Perciò il figlio dovrà essere mantenuto fino al raggiungimento dell’indipendenza economica.
Ecco la mia ulteriore inquietudine. Perché l’orientamento della Giurisprudenza sopravvaluta i motivi validi soprattutto dal punto di vista lavorativo e sottovaluta invece l’età e il dovere che ogni giovane ha di crescere, faticare e automantenersi?
In questo modo non intendo dare ragione all’una o all’altra parte. Vorrei solo capire perché a 30 anni i giovani siano considerati “grandi” quando ci interessa e “piccoli” quando gli interessi si accavallano con preconcetti o ideologie.
E qui mi fermo, disorientato. Il bene che voglio ai giovani mi obbliga a non fare con loro giochi equivoci e di comodo. Essere padri, madri, giudici o psicologi, non ci esonera dal compito di testimoniare con la vita, con i fatti e con le leggi, che non si diventa i grandi di domani approfittando degli errori fatti dai grandi di ieri.
Don Antonio Mazzi