LA LEZIONE DI FRATERNITÀ DEL PICCOLO AHMED

26/08/2016

Mi commuove Ahmed, ragazzino egiziano di tredici anni, che per curare suo fratellino di tre anni, sale su un barcone, attraversa il mare e viene in Italia a cercare medico e medicine. Oltre che commuovermi, c’è qualcosa che mi fa anche svergognare. Noi, cattolici, educatori, predicatori di fratellanza, non riusciamo a mettere calma una classe di coetanei, che sobillati da genitori altrettanto cattolici, battezzati, cresimati e magari sposati in chiesa, non vogliono in gita scolastica un compagno perché disabile, forse questo episodio ci farà pure arrabbiare. Ciononostante ho sentito che Ahmed ha vinto e ha trovato in Toscana chi lo aiuterà. L’Italia non è tutta stessa! Ma dobbiamo ricevere lezioni di fraternità eroica da coloro che i nostri politici beffeggiano, che vorrebbero rimandare a casa o lasciare affogare in mezzo al mare?
Non vi pare che la nostra vigliaccheria davanti a scene come questa, sia troppa? Devono essere i medici senza frontiere o i miei volontari under trenta, a capire e a partire per soccorrere e salvare i poveri e gli sfortunati extracomunitari? Quando questa Europa balorda capirà che i bambini di laggiù hanno gli stessi diritti dei nostri? E quando capiranno le mega istituzioni nate per “salvare il mondo” che non è moltiplicando gli uffici e aumentando gli stipendi ai loro funzionari, che lo salveranno?
Abbiamo confuso la solidarietà con le multinazionali, con il buonismo e con la raccolta degli abiti usati e la spedizione di alimentari nei container. Anche la chiesa e non solo gli stati e la gente, devono capire che sono finiti i tempi dei rattoppi, dei cerotti e dei mezzi armistizi. Aumentare le conferenze, moltiplicando i comitati, e nel contempo barattare armi e suggerire trappole a favore dell’una o dell’altra superpotenza, non fanno crescere il quoziente di umanesimo e di civiltà, unico rimedio vero, duraturo, paritario.
Le nazioni non possono definirsi civili perché depositarie di banche, di armi, di ricchezze e di beni trafugati ai paesi poveri. I governi servono per unire le forze interne e per accogliere disperazioni esterne. Se i patiti fossero finalizzati al benessere individuale, sociale ed economico, sarebbe bello che chiamassero nell’aula del Parlamento il tredicenne, non per farlo parlare, ma per farlo ascoltare. E se i discorsi rimanessero nonostante Ahmed, ancora gli stessi, scriviamo un altro titolo sulla porta dell’ex Parlamento.

Don Antonio Mazzi