UN DIO A MODO MIO

Il cristianesimo per gli under 30

01/03/2016

L’Istituto Toniolo, dopo una approfondita indagine, ha detto che per gli under trenta la religione è più un’etica di vita che una vera religione tradizionale. Io che i giovani, normali e non, li frequento giorno e notte da cinquant’anni faccio molta fatica a trovare un’espressione che in qualche modo si avvicini al loro modo di credere in Dio e, ancor più, al loro modo di avvicinarsi ai preti, al clero in genere e alle funzioni religiose tradizionali e secolari.
Se vogliamo definire ed esaurire la religione tradizionale entro i sette sacramenti, i dieci comandamenti e le frequentazioni domenicali, certamente i “millenials” sono molto lontani e per niente interessati a quanto avviene attorno alla parrocchia, fatto salvo i gruppi di fedelissimi e degli aggregati ad alcuni movimenti.
La definizione che i giovani danno, rispondendo alle domande e all’indagine promossa dall’istituto legato all’Università Cattolica, viene sintetizzata con poche parole, già consumate da almeno una decina di anni - “Io credo a modo mio, e spero che qualcosa di vero ci sia”. Secondo me non dice niente né a noi, né a loro. È diventata luogo comune.
Perché il vero problema sta tutto nella domanda che si danno, più che nelle brevi e secche risposte che offrono. I grandi temi del dolore, dell’amore, della morte, della giustizia, del perdono, dell’aldilà, ce l’hanno molto più presente e forte dei giovani di ieri e dell’altro ieri. E, in assenza di risposte, i trentenni si rivolgono o si interessano di temi, di bisogni, di volontariato e di attività che non affrontano e non accettano direttamente precetti già ben confezionati e catechesi ben definite e date per scontate dalla gente, fino a poco tempo fa.
Il “Dio a modo mio” è un Dio che c’è sempre stato e sempre ci sarà. La diversità non sta nel “modo mio” ma nel profondo e misterioso concetto di Dio. Il popolo di ieri, più semplice, si era affidato ad un Dio tramandato da padre in figlio e vissuto in contesti cittadini e contadini che esaurivano le loro attività religiose attorno alla piazza centrale del paese e festeggiando con molta sincerità i battesimi, le cresime, i matrimoni, i santi patroni del paese, e fermando l’intera attività lavorativa per accompagnare al cimitero il concittadino, qualunque esso fosse.
Il prete, poi, nei tempi passati godeva di una stima riflessa ed aveva un peso specifico tra i più significativi. Oggi il paese è il mondo, la religione sono le religioni, i vicini di casa possono essere cinesi, indiani, egiziani, tunisini e calabresi.
La frase “è cambiato il mondo” va modificata perché è il mondo ad entrare in casa nostra. Sono cadute tutte le barriere, tutti i muri. Vanno ripensate, rilette, riviste, ristudiate, condivise, chiarite, capite le culture, le fedi, le abitudini della gente che passa davanti a casa, che va a scuola con nostro figlio e che ha vissuto storie molto diverse dalle nostre.
Più che indagini vanno fatti esami di coscienza, vanno riproposti e testimoniati in modo più autentico, meno monotono i grandi problemi e temi della vita, dei quali la domanda “Dio” è la più importante, la più delicata e la più urgente.

Don Antonio Mazzi