Papa Francesco ci ha spiazzati tutti e, superando le solite incertezze e le infinite sfumature paramedicali, in un messaggio al Convegno sul "fine vita" promosso dalla Pontifica Accademia per la Vita ha detto un "NO" senza tanti sottintesi all'accanimento terapeutico.
Intuendo, poi, che sarebbe stato maliziosamente equivocato, ha immediatamente sottolineato che l'accanimento terapeutico non ha niente a che fare con l'eutanasia. Ha inoltre aggiunto una ulteriore chiarificazione altrettanto delicata e importante: quando un malato ha di fronte a sé cure sproporzionate, difficili da sopportare, che non porteranno nessun miglioramento, può interromperle.
Anche in questa dichiarazione c'è una risposta precisa ai tiramolla economici, politici ed etici, molto delicati ma bisognosi di risposte.
Dobbiamo sempre prenderci cura, non abbandonare mai il malato, senza abbreviare noi stessi la sua vita, ma anche senza accanirci contro la sua morte. Sono parole forti e forse, per un certo tipo di cattolici, imbarazzanti.
Dietro questa inaspettata apertura del Papa sta una visione più matura della morte e molto più rispettosa della persona che la sta attendendo. Deve iniziare un grande lavoro di "accettazione della morte, evitando equivoci e falsi preconcetti anche davanti alla morte". Questa "civiltà" non ci aiuta né a vivere bene né, tanto meno, a morire bene.
Troppe volte siamo stati poco autentici e incapaci di assumere responsabilmente i limiti della nostra condizione umana. L'amore e la vicinanza, con le persone in tali situazioni, sono necessari più di ogni altro tipo di intervento.
Don Antonio Mazzi