Ha detto il Papa: “La doppia vita è per un prete una brutta malattia”. Ancora una volta Papa Francesco vuole pastori veri, autentici, che sanno vivere tra le pecore, con la gioia nel cuore e preoccupati non della quantità di lauree, ma della infinita capacità di perdonare (il settanta volte sette del Vangelo).
Ha parlato, come il solito, domenica scorsa dalla finestra di piazza S. Pietro all’Angelus, circondato da quattro preti novelli, cioè appena ordinati e ha riportato un dolore che lui sente forte, quello dei preti corrotti.
Cristo sapeva parlare al cuore più che alla testa. “Non siate intellettuali, parlate semplicemente come parlava in modo semplice il Signore Gesù”, ha detto il Pontefice.
La gente deve sentire il profumo della vostra vita perché la parola, senza l’esempio, corre il rischio che, oltre ad essere inutile, potrebbe anche divenire fonte di cattivo esempio.
Il vostro parlare, quindi, deve farsi carico dei pesi di numerosi fratelli e di tante pecorelle povere, malate, perdute e sperdute. Francesco ha finito riprendendo una sua ulteriore passione e preoccupazione con la parola: “Il gregge che siamo tutti noi ha come abitazione un ovile che serve da rifugio, dove le pecore dimorano e riposano dopo le fatiche del cammino”. Straordinario! La Chiesa vista non come una struttura architettonicamente ricca, artistica, monumentale ma come ovile.
Quando arriveranno quei tempi? Quando la porta della chiesa sarà la porta sempre aperta davanti alla quale il pastore è là, felice di accogliere tutti?
Nella parabola di Luca, Gesù parla delle novantanove pecorelle al sicuro e di una perduta. La famosa pecorella smarrita. Oggi, purtroppo, credo che i numeri si siano rovesciati: una pecora nell’ovile, e le altre novantanove?
Don Antonio Mazzi