Scusatemi, ma per un momento ho pensato di trovarmi davanti ad un secondo caso Balotelli. Purtroppo i pensieri cattivi compaiono sempre per primi. Essendo poi io interista si arricchiscono di un coefficiente in più.
Passato il pensierino cattivo, il caso del portiere Gigio Donnaruma mi è sembrato per un verso un po’ più complicato e per un altro verso più semplice dell’atleta sopracitato.
Parto dalla scuola. Non mi meraviglia che gli esami di Donnaruma e i ritmi scolastici abbiano subito alternanze gratuite e non faccio nessuna fatica a renderle quasi normali.
La scuola è poco amata, soprattutto dagli adolescenti. Gli esami poi sono una cerimonia svolta quasi sempre poco carinamente da commissioni messe insieme all’ultimo momento.
Quest’anno poi si è aggiunta anche la storiella dei compensi. Devo dire che, mal volentieri salvo eccezioni madornali, sto dalla parte dei ragazzi e quindi non farei tanti articoli per gli esami spostati, saltati e quasi banalizzati dal portierone. La scuola deve fare una riflessione gigante sugli esami di maturità.
L’altra cosa, invece, che mi intriga di più, è il giochetto strategico messo in piazza dal procuratore e dal procurato, circa i nuovi padroni da servire. I soldi sono così onnipotenti?
Lo sport può permettersi di saltare qualsiasi decenza e stravolgere le minime sfumature educative, soprattutto se si tratta di atleti molto giovani e permeabili a valori arricchenti moralmente oltre che fisicamente?
Non credo, e qui arrivo al procuratore Mino Rajola, sia sufficiente gestire due metri di portiere, mettendolo sulla bilancia del dollaro. Ci sono certamente qualità che se esistessero potrebbero arricchire e completare la personalità di ogni giocatore.
Lo sport, a tutti i livelli, non può essere intasato solo da esercizi in palestra e esibizioni funambolesche. Una società seria deve sapere quanto può far bene a sé, agli atleti e al pubblico, saper mettere in campo non solo una squadra che vince usando più malizia e furbizia che gioco.
Il calcio dovrebbe saper vincere in modo pulito e alla gente delle curve dovrebbe dare la netta impressione che gli atleti sono uomini che si meritano quello che prendono perché capaci di soffrire, di autoeducarsi e di servire la squadra.
E, alla fine di ogni partita, tutti i tifosi dovrebbero uscirne contenti di amare una squadra che non è solo una aggregazione di atleti in cerca di chi li paga di più, ma soprattutto un gruppo di giovani ricchi di doti umane, portieri compresi.
Don Antonio Mazzi