Credo che Papa Francesco abbia idee ben precise, sia sulle sue possibilità che sui suoi limiti. E, a partire da questo, conoscendosi bene e venendo da un’esperienza pastorale carica di rischi e di prepotenze politiche, dopo aver intuito che l’aria vaticana era intossicata, ha preferito continuare il suo lavoro in trincea.
La paura non è mai stata il suo forte e, in una sua riflessione, ha detto “che non ci sarà giorno della nostra vita in cui cesseremo di essere una preoccupazione per il cuore di Dio”.
E così, mentre tutti noi eravamo in fibrillazione perché non aveva voluto particolari protezioni per il suo viaggio in Egitto, lui stava abbracciando con la passione e l’affetto di un fratello il Patriarca copto-ortodosso Tawadros II perché “arrivando qui – ha detto Papa Francesco – come pellegrino, ero certo di ricevere la benedizione di un fratello che mi aspettava”.
E le altre parole al grande Imam Al-Tayyib hanno ulteriormente chiarito i motivi della visita: “l’Islam non è una religione del terrorismo, perché soltanto la pace è santa; violenza e fede sono incompatibili”.
La speranza, non solo dei cattolici, m anche dell’unico organo di stampa egiziano che si rivolge alla comunità dei coopti, diretto da Samia Sidhom, si fonda sulla convinzione che tutto quello che si fa per alleviare le divisioni combatte il fanatismo.
E i passi affaticati di Francesco, nella moschea di Al-Azhar, esprimono solo questa certezza evangelica. “Il sangue degli innocenti può solo unire e affratellare”.
Don Antonio Mazzi