Non credo si debba parlare di diritti per un prete se dire una messa o di prese di posizione da parte di un Arcivescovo o di un questore, per non farla dire. Qui trattasi di coscienza, di sensibilità, di rispetto, di equilibrio, di prudenza. E per prudenza intendo che c’è modo e modo per ricordare sia i vivi che i morti.
Noi, preti, siamo pastori chiamati da Dio per servire, amare, proteggere ed educare il gregge che ci viene affidato. E se ci sono predilezioni da fare e da mettere in atto, devono essere rivolte a quelle pecore che, per vari motivi, si perdono lungo la via.
Non credo, però, che il metodo adottato dal parroco pugliese sia quello più evangelico e apostolico. Non tocca a me parlare di scandali e tanto meno di giudicare. Tante volte anch’io sono stato deriso e sbeffeggiato per azioni anche se ben diverse da quest’ultima.
I rischi per noi preti di avamposti sono sempre tanti. Però tra il rischio e l’equivoco, tra il doppiogioco e l’uso corretto della misericordia e del perdono, possono farisaicamente nascondersi i due padroni dei quali parla il vangelo di Matteo.
Noi cristiani non dovremmo mai servire due padroni né in modo esplicito né tanto meno in modo implicito. Trovare quindi la soluzione corretta per fare il nostro “mestiere” di preti, anche quando le situazioni si presentano scabrose e delicate, sarà difficile ma non impraticabile. Anzi! L’amore vero trova sempre vie praticabili.
Don Antonio Mazzi