AMARE E RISCHIARE PER SALVARE I GIOVANI

26/11/2018

Sul caso Desirée abbiamo notizie e particolari sempre più sconvolgenti e inumani. Cambiano i colpevoli, si aggiungono supposizioni su supposizioni, ma lì, sul pavimento, quasi fosse quello di casa nostra, è morta atrocemente e in continuità, a causa delle troppe e inutili notizie, una sedicenne. Le tre fasi dell’evento bestiale le conosciamo. Drogata, abusata fino al macello, e poi, la morte assurda. Come possono quattro o cinque giovani, quasi coetanei, fare per divertimento, violento quanto un fatto di guerra, arrivare fino a darle da bere acqua e zucchero quasi come un dessert, per poi lasciarla lì a morire tra le urla della cugina e di pochi altri? Sedici anni, consumati giorno e notte frequentando ambienti maledetti, e poi, la fine.
Le cronache spaventano. In questo caso, la mamma non ha descritto una figlia fuori di testa, matta. Si dice che le madri restino sempre solo madri, ma lo divengano di più quando hanno in casa figli problematici. Io, nonostante l’opinione pubblica contraria, credo alla frase semplice, ma completa anche di questa madre: “Non si drogava, ma negli ultimi tempi era cambiata”.
Queste definizioni io le sento quasi ogni giorno, avendo a che fare con casi simili e con madri disfatte, ma quando succedono fatti così, riempiamo sempre i giornali e i telegiornali, assistendo allo sfascio del mondo giovanile, proprio nell’orario nel quale siamo tutti a tavola, bambini compresi.
È vero che il mondo giovanile lo stiamo quasi veramente perdendo nel più doloroso dei modi? Sono ancora un sognatore e impenitente tifoso sei giovani. Per me i giovani o si amano o si perdono. Poi, per chi conosce i “meccanismi” dell’adolescenza sa che ora i mesti vagabondaggi nei parchi, nei giardini e nei sottopassi si possono trasformare in pochi minuti in cimitero o liti violentissime e appuntamenti disastrosi.
Vederli a quattordici anni dilaniati dalla morte, anche se dentro ancora desiderosi di vita, di amore e di felicità, ci deve, in un primo tempo far piangere, ma subito dopo, ognuno deve fare qualcosa perché in qualche modo, dentro a quelle tragedie c’è anche un po’ di lui.
Aiutatemi perché io sto pensando di ripetere, con i dovuti cambiamenti, di fare un “Parco Lambro due”. Cioè passare da interventi episodici a strategie complete, rischiose, nuove e, spero, vincenti anche a Rogoredo.


Don Antonio Mazzi