È una notizia dolce e tenera quella di Gianluca Crittino, portierino della squadra del Borgovercelli. Durante la sedicesima edizione del “Memorial Ugo Ferrante”, in ricordo del difensore scomparso nel 2004, era riuscito a convincere l’arbitro per la convalida del goal della squadra avversaria, battuto direttamente dalla rimessa laterale.
Perché lui, portierino di otto anni, aveva toccato la palla con le mani, regolarizzando la segnatura, già annullata dall’arbitro. L’arbitro, e non solo l’arbitro, meravigliato ha stretto la mano a Gianluca e gli ha dato ragione.
In occasione del 166° anniversario della fondazione della Polizia di Stato, Gianluca è stato decorato. Ho iniziato l’articolo definendo la notizia dolce e tenera. Potevo dare solo questo titolo, perché un bambino di otto anni (mi permetto di definirlo bambino) sul campo ha pareggiato per 1 a 1 ma nella vita ha vinto per tre a zero.
Ha vinto sulla mentalità arbitrale sempre poco duttile. Ha vinto sulla mentalità dei parenti, spettatori troppe volte vergognosamente e con la Questura di Vercelli che ha voluto premiare l’omino di otto anni, accanto agli attestati di merito assegnati ai suoi uomini.
Questi sono i tre motivi che rendono straordinaria una iniziativa di routine e sempre caratterizzata dai passi geometricamente perfetti delle forze dell’ordine, dai numerosi present’arm e dall’Inno di Mameli.
Gianluca, stupito, si domanda: “Ma cosa ho mai fatto di così speciale?”. Purtroppo Gianluca si deve convincere che quasi nessuno la pensa come lui. Il mondo dello sport non è più il mondo del gioco, del divertimento, dell’importante è partecipare. Perché tutto è diventato campionato e tutto viene vissuto con la mentalità dei campioncini. E i campioncini o vincono perché se lo meritano, o vincono perché loro non sono come gli altri.
E qui ripenso a don Bosco e all’oratorio dei miei tempi romani a Primavalle, con cinque squadrette di ragazzi che giocavano a pallone sotto il campanile, urlando come stessero facendo la Coppa del mondo e felici, dopo tutta questa baraonda, del gelato che avevo loro promesso.
Nessuno sapeva quanti goal aveva fatto ma, tutti sudati fradici, ridendo piantavano il naso nel gelato e tornavano a casa abbracciati.
Don Antonio Mazzi