Prima di affrontare l'ennesimo caso, delicato e antipatico almeno per me, di prete "sbagliato" vorrei ribadire una riflessione che da tempo vado facendo ma che è ritenuta offensiva e perciò boicottata e banalizzata dai Vescovi.
È giunto il tempo di affrontare seriamente le modalità di formazione dei giovani che desiderano esercitare la missione ecclesiastica. Come sono state pensate fino ad oggi non rispondono alle esigenze del profondo cambiamento della società.
Il ruolo che a suo tempo aveva il parroco è tramontato. La composizione dei paesi, fino a ieri ricchi di persone che nascevano, crescevano e morivano lì, tra le campagne, le osterie, le piazze e le numerose parentele, è rimasta un ricordo.
Credo che non dobbiamo preoccuparci del numero e, tanto meno, della gestione di chiese e cappelle. La pastorale, rivisitata e allargata ai laici, offre molte possibilità per la diffusione della catechesi e per l'accesso ai sacramenti.
Ma è l'allevamento in batteria nei seminari, dalla prima media al sacerdozio, che va contro ogni ipotesi di crescita armonica e condiziona troppo precocemente la scelta con le relative conseguenze.
L'ultimo caso, la ludopatia del prete di San Vito e Modesto di Spinea, nel mestrino, non meraviglia. Però deve convincere i vescovi che la formazione del clero va radicalmente ripensata.
Meglio cento parrocchie di meno e cento preti malfatti di meno perché, non sono i numeri che ci devono condizionare, ma la qualità e le scelte dei futuri pastori, come ci dice bene Papa Francesco.
Don Antonio Mazzi