Sono stato più volte nelle carceri che ospitano detenuti condannati a vita. Ho avuto la possibilità di poter parlare con loro. Dagli sguardi puoi capire con certezza che le uniche cose vive che alimentano dentro di sé sono l'odio e la voglia di completare vendette incompiute. Tutto il resto è morto. Dopo questi incontri, ogni volta, distrutto, mi domando dove stia la diversità tra la pena di morte e il carcere a vita.
Esci da quei posti con una parte di te che vorrebbe cambiare tutto, e l'altra parte di te che boccheggia sapendo bene che se 56 Paesi hanno ancora la pena di morte, gli altri per difendersi hanno inventato un rimedio apparentemente più umano: non la morte fisica, ma la morte sociale. I Papi hanno più volte affrontato questi enormi dilemmi di frontiera.
E Papa Francesco ha tentato di fare il passo definitivo riscrivendo il catechismo: La Chiesa insegna, alla luce del vangelo, che la pena di morte è inammissibile perché attenta all'inviolabilità e dignità della persona". Ma per saltare il muro bisogna iniziare da più lontano, dal concetto di pena, di giustizia, di modi per scontare gli errori, anche i più spaventosi. Ed è da qui che mi partono i bruciori di cuore. Questa provocazione di Papa Francesco fatemela sognare.
Per ora mi sento sconfitto, spaventato, e impotente. Come abolire la pena di morte per far vincere l'ammissibilità di una possibile conversione per tutti? Arriverà quella stagione?
Don Antonio Mazzi