Mi domando quale significato abbia, e soprattutto a cosa serva, un muro alto quattro metri costruito attorno al Parco di Rogoredo, alla periferia di Milano, salito alla ribalta delle cronache e inventato da gente che dovrebbe ben conoscere la storia del Parco Lambro di anni fa.
Anche allora, su imitazione dello “zoo di Zurigo” si parlava di recinzioni, di ambulanze, di siringhe e di sommovimenti popolari. La situazione di quel parco era ben più pesante di quella di Rogoredo oggi.
Ma i giovani, i sindacati della Rizzoli, le mamme coraggio di Lambrate, l’occupazione quasi costante delle forze positive: concerti, concorsi, feste, dibattiti e il coordinamento intelligente delle forze dell’ordine, dopo aver raccolto quintali di siringhe, hanno trasformato quella specie di luogo di morte e di disperazione, in uno dei luoghi più belli d’Italia (permettetemi una parentesi, tranne il fiume Lambro).
È nata da lì, poi, la prima “Unità mobile” offerta dall’Azienda Rizzoli. Il primo ragazzo disteso tra l’erba e mezzo morto, l’abbiamo assistito noi. Per noi intendo Paolo Pillitteri, sindaco di Milano, Piero Colaprico, giornalista che passò giorni e giorni accanto a me, con altri giornalisti, e un medico. L’abbiamo rianimato e portato all’ospedale.
È stata un’esperienza controcorrente perché mentre le norme italiane avevano inventato le “comunità terapeutiche”, e mentre gli svizzeri chiudevano i loro spazi verdi alcuni operatori nostri avevano continuato a lavorare nel parco e, dopo una breve preparazione, anziché costruire comunità, con quattro camper e quattordici disperati del Parco che avevano accettato l’invito, abbiamo inventato il metodo itinerante. Erano gli anni ottanta e l’avventura si chiamava Exodus.
Mi domando: perché, prima di costruire il muro, non ci avete cercato? Ci eravamo resi disponibili e, con un muro di meno e un lavoro insieme in più, avremmo forse fatto addirittura meglio di allora. Le cose che scrivo non sono fantasie gratuite. Sono stato a Rogoredo e già allora avevo lasciato alla stampa le mie dichiarazioni di disponibilità.
Don Antonio Mazzi