Mentre tutta l'Italia si godeva la finale di Sanremo, sono stato a Locri con una cinquantina di "Educatori Senza Frontiere": abbiamo fatto quattro giorni di formazione in preparazione all'attività di volontariato che svolgeranno la prossima estate in Madagascar, Honduras, Brasile, Angola, Etiopia, Bolivia e a Betlemme.
Giorni intensi e dolorosi. Meglio: giorni gioiosi e dolorosi, soprattutto per me. Pioggia, vento, mare agitato e una piccola scossa di terremoto, che ha spaventato la comunità di S. Stefano in Aspromonte, non ci hanno aiutato a riflettere lungo la sua spiaggia.
Il tema che ci eravamo proposti ruotava attorno al concetto evangelico che definisce tutto il mondo come "Regno", con la lettera maiuscola. Ma, ripeto, mentre l'impegno dei giovani era straordinario, il mio cuore veniva quasi soffocato da una domanda troppo pesante e colpevolizzante. Me la sono tenuta dentro. Ho parlato, cantato, camminato, pregato e mi sono divertito dalla mattina presto alla notte fonda, con quei meravigliosi cinquanta giovani.
Alla Messa finale però, attorno ad un altare fatto a mano, ad alcuni pani azzimi e ad un calice di vino del luogo, ho sparato la domanda/problema che mi aveva disturbato e mi disturba ancora.
"Perché questa terra dal mondo è percepita ancora come la terra di Caino? Perché Locri ha questa etichetta maledetta?". Forse chiamarla terra di Caino li ha spaventati. Sembrava troppo forte! Poi ho spiegato loro che l'ipocrisia nostra è tale da permetterci di accettare certe situazioni così assurde senza avere il coraggio di guardarle in faccia fino in fondo e dar loro il nome giusto".
Ho finito dicendo: "Sentite, questa Messa la diciamo per chiedere perdono a Dio per questo peccato grave e alla fine mandiamo tutti insieme la benedizione assolutoria". Ho visto tanti occhi lucidi. I giovani sono migliori di noi, che siamo vecchi anche nell'anima.
Siamo partiti da Locri tenendocela stretta dentro. Nel bar un giovane mi ha avvicinato, dicendomi: "Don Mazzi?". "Sì, sono don Mazzi!". "Senza scorta?". "Sì, senza scorta perchè credo dobbiamo finirla con queste cose!". Il giovane mi ha guardato e, dopo un minuto di silenzio, mi ha stretto la mano dicendomi: "Grazie!". Quel "grazie" ha alleggerito un po' il peso che avevo sul mio cuore.
Don Antonio Mazzi