DAVANTI AL DOLORE DI DEBORAH MI CHIEDO: SAPREMO MAI PREVENIRE?

24/05/2019

Credo che ciascuno di noi, di fronte al dramma così assurdo e inumano di Monterotondo, si senta disorientato ed incredulo. La tristezza e la compassione si confondono con la rabbia e la voglia di andare ad abitare altrove, dove gli uomini sono ancora uomini e non bestie e, soprattutto, dove la parola famiglia, casa, amore hanno ancora un briciolo di significato.
Troppi misfatti, da qualche tempo, vengono consumati proprio nei luoghi e tra persone che dovrebbero testimoniare la civiltà e la voglia di vivere. Non mi fermo a descrivere quello che già sappiamo. Mi soffermo invece sulla diciannovenne Deborah.
Come può accadere che una figlia, distrutta dalla paura e dalla bestialità di suo padre, debba ucciderlo (accidentalmente) nel tentativo di salvare la madre che stava per essere strozzata e aggredita selvaggiamente, come già altre volte era accaduto, soprattutto quando quell’uomo rientrava ubriaco marcio e in balia della droga?
I magistrati, analizzata la situazione, non solo hanno evitato il carcere, ma anche gli arresti domiciliari a Deborah ed ora le sue compagne di liceo la aspettano per abbracciarla e aiutarla a preparare la maturità. L’amicizia, quando è autentica, fa miracoli, e anche stavolta riuscirà a medicare parte della tremenda ferita che Deborah si porterà dentro per la vita.
Nel libro L’avventura dell’amicizia, Xavier Lacroix scrive che “la nostra amicizia è la nuvola bianca preferita dal sole. È una forma di affetto nella quale l’economia della parola, che non può non coincidere con quella dell’intelligenza e dello spirito, ha una funzione determinante di mediazione. Perciò non si riduce ad una esperienza esclusivamente mentale, ma si fonda su una comunione di obiettivi esistenziali che implicano volti e storie che uniscono, armonizzano e tranquillizzano”.
Spero tanto che questo possa accadere anche in una classe di liceo. Siamo più inclini a soffermarci sui misfatti. Stavolta vorrei che si capovolgessero le cose. Ho seguito altri casi simili e ho, con mi a meraviglia, imparato quanto il dolore possa diventare maestro di vita e fonte di maturità. Ma resterà dolore!
Ed è questa la cosa che penso e che mi intenerisce nei confronti di Deborah. Avere questo per compagno di vita significa conviverci ogni giorno sempre di più con il passare degli anni. In questo caso, poi, non possiamo dimenticare tutto quello che la ragazza aveva già subito, visto e provato prima ancora della disfatta finale.
Perché dobbiamo piangere sempre dopo? Arriveranno i giorni nei quali sapremo arrivare prima?


don Antonio Mazzi