Non mi meraviglia che si torni a discutere sui grandi temi della Chiesa. Ma come sempre accade, spaventati dalla burrasca che potrebbe scatenarsi, preferiamo non andare troppo oltre. Perciò ci viene meglio fermarci ai preti sposati, ai diaconi adulti, alle suore che confessano e alle donne preti, attirati più dalla curiosità che dalla fede e più dalla polemica che dalle beatitudini. Da prete, non posso leggere, tacere e tantomeno attaccarmi ai paragrafi del fenomeno, invece di guardarlo in faccia e soffrirne terribilmente. Non è più possibile che in questa società tutto passi, senza che venga data l’opportunità anche minima, perché quello che ci accade sotto gli occhi, possa essere interiorizzato e messo in ordine di grandezza. Per secoli, soprattutto noi italiani, sedotti dalle cupole romane, non siamo stati gente di fede, ma di cerimonie, di sacramenti, di canoniche e seguaci di tradizioni popolari, più amanti delle processioni, delle candele, dei regalini per il battesimo della nipotina e delle centinaia di madonnine apparse nei modi più vari, quasi in tutti i paesi.È finito il tempo, anche se non finisce il mondo e tantomeno crollano i campanili. L’arrivo in massa di pellegrini, seguaci di altre religioni, il cambio radicale del nostro modo di vivere, l’apertura al mappamondo della nostra italietta, il passaggio troppo veloce dalla società dell’aratro alla società del computer, disorientati tra i pregi e i difetti, tra il bene e il male che i cambiamenti si sono portati dietro, ha obbligato tutti, senza che ce ne accorgiamo, a farci carico, uno dopo l’altro, dei temi, dei problemi, degli agi e dei disagi, delle ricchezze e delle povertà, del sopravvivere a situazioni molto più difficili da capire e da accogliere, ingigantite, per di più, dalle interferenze politiche, economiche, mafiose e penosamente inculturate. Di tutto questo si parla, si discute, si vota, si partecipa aderendo o contestando. Nel terremoto generale sono caduti dentro un po’ tutti: le destre, le sinistre, i media, la borghesia, il potere operaio, l’organizzazione sociale e democratica, la famiglia e la scuola, l’oriente e l’occidente. Non poteva, anche la Chiesa, evitare una profonda riflessione sul come essere Chiesa in un contesto fortemente contraddittorio. L’occasione, poi, dell’arrivo di un Papa sudamericano, Francesco e francescano, ha accelerato e ulteriormente acclarato le distanze, le differenze, le ipocrisie e le anomalie di uno Stato micro, in quanto a confini, ma macro in quanto a poteri religiosi, economici, culturali e metaculturali e popolari. Questo Papa ha sentito il bisogno di mettere in fila le priorità, di smontare il «sinedrio » e soprattutto di dare alle parole, ai gesti e alle scelte i significati corrispondenti. Da qui sono partiti i grandi problemi e le grandi domande, che hanno fatto di Francesco un profeta eretico, perseguitato soprattutto dai profeti falsi. Queste mie riflessioni non vogliono essere causa di battibecchi di basso profilo, ma certamente, per un prete come me, leggere che un cardinale confonda furbescamente i confronti politici con le simpatie partitiche e che trasformi l’esibizione della corona del rosario in sensibilità religiosa mentre di solito la vediamo tra le scollature delle donne, non possono non mandarmi fuori di testa e rendere quasi ingenuo e innocente quello che ho detto sopra. Voglio chiudere dicendo che sono felice di piangere e di «lottare» con papa Francesco e traducendo alcune righe di Padre Balducci, come fossero il sogno per la Chiesa di domani. «Per tutta la vita mi sono chiesto se ero o no un cristiano. Per quarant’anni ho risposto di no, perché ponevo male il problema, come se la fede fosse incompatibile con una vita militante. Dio non è più l’Imperatore dei Romani, né l’uomo nel pieno della sua presenza e della sua forza, come per i Greci. Non è una promessa di potenza. È la certezza che è possibile creare un avvenire qualitativamente muovo soltanto identificandoci con coloro che nel mondo sono più miserabili e oppressi, soltanto unendo la nostra sorte a loro, fino a non riuscire a concepire nessuna altra autentica vittoria se non la loro. Questo amore e la speranza della risurrezione fanno un tutt’uno giacché esiste amore soltanto quando per noi una persona è insostituibile e noi siamo disposti a dare per essa la vita. Quando siamo disposti a questo dono per l’ultimo degli uomini, allora Dio è in noi. Egli ha il potere di trasformare il mondo ». E io aggiungo: e anche il Vaticano. Mi pare sia questo l’obiettivo del «Papa Pastore». Nei quattro Vangeli il mondo è cambiato partendo da Nazareth… nel Vangelo di Francesco, potrebbe cambiare partendo dall’Amazzonia.
di don Antonio Mazzi – Corriere della Sera