Non credo che per denunciare il malessere della scuola italiana, il degrado delle famiglie e l’esplosione dei fenomeni di bullismo e di violenza tra compagni di classe il modo migliore sia l’invio della lettera aperta della preside dell’istituto comprensivo Tullia Zevi di Roma, Eugenia Rigano, in chiusura del suo mandato.
È vero che si vedono tante minigonne dentro e fuori casa, è vero che la disciplina, la serietà e l’impegno non sono le doti migliori che emergono dalle strutture scolastiche italiane; è anche vero però che una preside non può sconfessare il suo operato nell’ultimo giorno del suo mandato, mettendo su carta solo il peggio.
Dispiace che vengano usati modi così pesanti da somigliare più a nevrastenie messe per iscritto che a riflessioni serie, quasi dolorose e pazientemente sopportate. Mai come oggi gli educatori, i docenti, i genitori, gli istruttori devono essere capaci di autocontrollo, di metodologia non punitiva ma costruttiva e di presenza paziente, intelligente e dialogante.
Siamo capaci tutti di urlare e di inveire. Ma non è questo il “mestiere” dell’educatore preparato e conoscitore del tempo in cui vive e della società che rappresenta.
Forse, ancora una volta, mi sbilancio dalla parte dei ragazzi e non mi scandalizzo fermandomi alle calze e ai tacchi delle scarpe delle mamme, oggetto di critica da parte della preside. La scuola è l’unico luogo che deve essere aperto a tutti e quindi capace di interpretare il bene, il meglio, il normale, il peggio. Abbiamo perso molto tempo e non abbiamo dato alla scuola l’importanza che avrebbe sempre dovuto avere, cominciando dal Governo.
Posso capire la preside, ma non posso giustificarla, perché ha adoperato il modo peggiore. Cosa fare? Dobbiamo cominciare da capo e cercare nella scuola tutto ciò che non riusciamo a trovare altrove. E se non facciamo presto, peggiorerà non solo l’ambiente scolastico, ma perderemo il meglio dei nostri figli. Oggi è molto più facile diventare vecchi che adulti. E i docenti devono essere adulti, cioè capaci di intuire che le età della vita, nel loro sviluppo fisiologico, etico e sociale, sono in tensione, ma non necessariamente in opposizione e in conflitto.
di don Antonio Mazzi