Il mondo è cambiato e con questo anche le dipendenze, ma noi stiamo utilizzando ancora i vecchi schemi e le vecchie parole. Siamo perciò convinti che debba cambiare profondamente il sistema di cura, che dovrà essere sempre più centrato sulla persona e sul tessuto delle sue relazioni. Ma prima ancora dovrà cambiare l’approccio e la qualità dell’investimento sulla educazione e sulla prevenzione che dovranno essere finalmente sistematiche e trovare alleanze negli ambienti vitali della famiglia, della scuola, dello sport, della musica e di tutti i nuovi linguaggi.
Il lavoro di revisione della legge 309/90 lo considero solo un punto di partenza. Necessario forse per poter ottenere il più ampio consenso da parte della politica e delle istituzioni nel loro complesso riguardo alla necessità di tornare ad occuparsi seriamente dei fenomeni di dipendenza. Ma in prospettiva, secondo noi, certamente non può bastare.
Con l’avvento e con l’esplosione delle dipendenze immateriali mi pare che sia ormai diventato chiaro che l’approccio non può essere esclusivamente sanitario. In una famiglia dove tutti, dico tutti, sono dipendenti dal cellulare e dove il figlio finisce per chiudersi in camera stando notte e giorno davanti ad internet, non possiamo pensare di isolare il “paziente-figlio”, proponendogli un colloquio alla settimana da uno specialista, non possiamo non intervenire in maniera sistematica su tutto l’intorno di vita del ragazzo.
Va bene che si sia ripreso a parlare delle dipendenze, che si metta mano ad un nuovo testo di legge. Rogoredo con le nuove piazze e le vecchie overdose ci hanno spaventato. Ma stiamo attenti: la Rogoredo-Milano e l’Italia di oggi non è quella di trent’anni fa. Non applichiamo le stesse logiche! Non possiamo accontentarci di tentare di aggiustare un piccolo pezzo di ingranaggio della macchina sanitaria di cui “il dipartimento delle dipendenze” farebbe parte. C’è un’operazione più ampia e radicale che va compiuta.
Mi auguro che, partendo forse da questo ritorno di attenzione alla vecchia legge sulla droga, si abbia il coraggio di affrontare seriamente il tema della adolescenza anche nei suoi risvolti economici, commerciali, comunicativi oltre che, ovviamente, nei contesti formativi e sociali. Vanno pensati nuovi linguaggi e nuove forme aggregative e stavolta non “per” i giovani ma “con” i giovani.
di don Antonio Mazzi