Cari ragazzi,
partire così mi fa un po’ ridere, perché chiamarci subito cari, non vuol dire niente, soprattutto per me. O siete carissimi, o antipatici, o rompiballe e via così. Cioè siete tutto, tranne che solo cari. Siamo partiti male direte. Ma sapete bene come sono fatto e poi, vivendo da sempre con voi, belli o brutti, bravi o meno, capisco che non posso partire come se foste qualcosa a cui non so cosa dire e me la cavo con “cari”. Vorrei in poche righe buttare nella vostra giovinezza i miei novant’anni di vita, di cui settanta (avevo vent’anni, quando mi sono trovato tra gli alluvionati del Po, con centinaia di ragazzi, rimasti in poche ore senza nessuno) vissuti con voi a Ferrara, a Primavalle, a Vicenza, a Verona, a Milano. E sono ancora tra voi, vivo e per dirvi che non dovete fare i “pirla” perché la situazione è terribilmente nuova, strana, delicata, incomprensibile soprattutto per noi. Il nostro ieri ha visto guerre, povertà, fascismo, droga, mafia. Il vostro domani, invece, vedrà un radicale cambiamento mondiale nei rapporti sociali politici, culturale e professionali.
La democrazia che avete conosciuto e che in qualche modo tira avanti zoppicando o la cambierete, o rimarrete schiacciati tra giochi pericolosissimi, pilotati da potenze che avendo in mano la comunicazione, possono disorientare con il minimo sforzo l’intero pianeta. Il vostro telefonino fa parte delle “armi” di domani. A voi non è sufficiente avere solo un titolo di studio, un lavoro o amicizie varie. Ho detto qualche giorno fa alla radio, una frase: “E’ libero colui che sa darsi delle regole di vita”. Qualcuno ha frainteso. Intendevo per regole, un orientamento, una prospettiva, una interpretazione dell’aria che tira. Farsene un baffo delle norme, girovagare sfaccendati su è giù per i Navigli, o nelle birrerie delle varie piazze d’Italia, con o senza mascherina, ripeto, è solo una “pirlata”. Nemmeno una furbata.
Ci si può divertire in centro altri modi, da intelligenti senza aver bisogno di farvi vedere meno intelligenti di quello che siete. I miei (e sapete che seguo ragazzi sparsi in tutto il mondo) quando li ho convocati via internet per dare qualche regola, all’inizio del coronavirus, Giulio dall’Honduras, (ho una comunità anche la), mi ha detto: “Don, vai da quelli che fanno i fighettoni per la tua Milano e dì a loro che noi siamo qua perché abbiamo fatto gli stupidi prima di loro, ed ecco le conseguenze. Non ti preoccupare perché noi siamo abituati a stare chiusi, purtroppo venendo da anni di galera. Dì a loro, che siamo noi ad invitarli a dirsi dei no, perché la vita è una cosa seria”. Volevo abbracciarlo, ma eravamo in video. Ho fatto due lacrime io, ha fatto due lacrime lui, ora vorrei che faceste due lacrime voi, perché avete davanti un periodo storico molto delicato, che voi dovete cambiare, organizzare ed interpretare. Cercate di diventare grandi in fretta! Ciao.
Don Antonio Mazzi