Mi domando se anni interi di lavoro comunicativo ed educativo operati dalle strutture terapeutiche, che hanno permesso a centinaia e centinaia di ragazzi che avevano sbagliato una o più volte e che per delle cretinate ricadevano sempre nelle stesse modalità di sopravvivenza, non abbiano ancora insegnato a qualche giudice (dico qualche perché spero siano in numero quantitativamente e qualitativamente minimo) che prima uno esce dalla galera meglio è. Per questo mi stupisce leggere di questo caso di un ragazzo tossicodipendente. Leggo che a seguito di un processo per direttissima per un furto, un giudice a Varese lo manda in carcere, come riferisce alla Prealpina l’avvocato, “per aiutarlo, per tenerlo lontano dalla droga nei prossimi giorni, ossia fino a quando sarà trovata una struttura adatta ad accoglierlo”. Ma davvero non si trova, tra le centinaia, una comunità (la mia compresa) che farebbe di tutto pur di “tirarlo fuori” anche solo un giorno prima dalla galera? Anche perché la modalità del furto sono state così infantili e ingenue che mi riesce difficile trovare malizia, cattiveria, supponenza e tutte le altre “virtù” che vengono profuse per spiegare fatti del genere. Se ho ben capito siamo davanti ad un ventenne, scappato da San Patrignano, che per farsi due soldi per una dose entra in un grande magazzino e ruba, con la mentalità del “novizio”, 450 euro di profumi, nascondendoli sotto il maglione, davanti o quasi, agli addetti alla vigilanza.
Sono abituato a leggere quanto accade in Italia in fatto di violenza, furti pesanti, bullismi quotidiani di cui poi leggo le sentenze definitive. Al confronto, quello di cui parliamo mi pare un fattarello, non per offendere qualcuno, una piccola storia di quotidiano disagio che noi, poveri ingenui educatori, pensavamo cancellati dall’abecedario della giustizia.
Mandare in carcere un ventenne e poi trattenerlo per salvarlo dalle tentazioni è cosa che ci fa tornare indietro, a mentalità sbagliate che si possono capire nella disperazione dei genitori, ma non in un tribunale serio e attento alle tragedie vere e preoccupanti che nascono dalle bande giovanili ed adolescenziali. Comunque, se serve, a Exodus c’è già un posto e soprattutto c’è la possibilità di fare una chiacchierata “liberatoria” con la mamma o con la famiglia.
don Antonio Mazzi