Scrivo adesso, all’inizio della fine di questo periodo per non lasciare nulla indietro, perché nulla vada perso, perché credo che, questo tempo, ad ognuno ha voluto dire qualcosa se eravamo disposti ad ascoltarlo… un tempo sicuramente difficile per tutti e non può che esserlo anche per noi educatori…
Come educatore so che uno dei miei strumenti principali è la relazione, quello spazio che si crea oltre le parole, fatto di gesti, sguardi, contatto, emozioni che si rilasciano e devi saper cogliere e decifrare. E’ chiaro che, venuta meno la relazione, mi è viene un po’ meno tutto… Ma stare fermi ad aspettare di nuovo il momento giusto, lo spazio fisico giusto, le condizioni giuste delle relazioni, era sicuramente una gran perdita di tempo per chi, come me, ne ha un disperato bisogno, e non parlo solo di me come educatore ma anche del ragazzo dell’ultimo banco che, prima di tutto ciò, incontravo a scuola o del ragazzo che tutti i pomeriggi veniva da noi, in sede, un po’ svogliato perché sapeva che avrebbe fatto i compiti ma comunque veniva, perché non li avrebbe fatti da solo…
Così toccava rimboccarsi le maniche e reinventarsi partendo dal nulla. È stato difficile, nel tentativo di provare a riprendere le relazioni, invece, mi sono trovata a mettere in discussione tutto: sono passata dal “metti per favore il telefono via” al “spero che oggi si connetta”, un passaggio decisamente strano che non poteva che generare tanta confusione, a partire da me per arrivare a loro.
Con qualche ragazzo e ragazza siamo riusciti, ogni volta, dopo i costanti primi 10 minuti di silenzio e sole visualizzazioni, ad iniziare le diverse attività proposte, attività che avevano un solo obiettivo: non farli sentire soli e dare a ciascuno il suo spazio. Uno spazio che facevano molta fatica a riconoscere come loro e, nonostante i nostri tentativi nel farglielo capire, molti ritornavano a disattivare il microfono e stare passivamente davanti allo schermo. Per tutti gli altri invece, mi sono scontrata con il “non riuscire ad entrare” in nessun modo in quello schermo.
Oggi, riguardo i mesi trascorsi e non posso dire che sono riuscita a stare ferma, in alcuni giorni con i miei colleghi abbiamo corso come quando finito il lavoro in una classe correvi ad incontrarne un’altra, perché in fondo capisci che l’importante è provare a “raggiungerli”: devi solo trovare un modo.
Penso ai ragazzi che ho cercato in tutti i modi, attraverso le docenti, i compagni di classe e con i quali non mai sono riuscita ad avere dei contatti e mi chiedo “come stanno”. Nonostante tutte le difficoltà, però, penso anche alle piccole occasioni che, in assenza di questa situazione, non si sarebbero presentate.
Come quando un ragazzo mi ha detto: “Spero che quest’anno si rifarà il campus estivo, perché ho intenzione di divertirmi e comportami bene non come l’anno scorso” o alla possibilità di conversare, anche se tramite una tastiera, con una ragazza che da quando la conosco non ho mai sentito la sua voce.
Penso anche al fatto che, per la prima volta, non ero io quella ad entrare in classe o ad accogliere i ragazzi in sede, ma erano loro a venire da me, quando e se ne avevano bisogno, nei momenti in cui mi lasciavano entrare nel loro schermo.
Concludo con la frase che ho utilizzato più volte per rispondere ai ragazzi: spero ritorneremo quanto prima a stare insieme nel modo in cui siamo abituati a stare, però, finché non sarà possibile, troveremo sempre un modo nuovo per farlo.
Natasha, Educatrice Progetto “Donmilani2: Ragazzi Fuoriserie”, selezionato da Con i Bambini