Avevo appena letto un appello firmato da sedici intellettuali riguardanti i pericoli di una visione fredda e nozionistica della scuola, vista più come luogo istruttivo, artificiale a distanza, piuttosto che ricco di presenze vere e di relazioni calde, autentiche, educative.
Queste riflessioni mi turbavano. Il capofila dei messaggeri dell’appello era Cacciari. Era partita da lui l’urgenza di dare alla scuola il suo giusto peso e significato. Il mio disagio però nasceva anche da qualcosa che da tempo accadeva e accade ancora prima che i ragazzi arrivino nelle aule.
Mi scuso se torno sempre alle mie paranoie, ma l’occasione era troppo provocatoria, perché nelle pagine di un altro giornale si leggeva la testimonianza della mamma di Beatrice, ragazza colpita da una grave forma di epilessia farmacoresistente, che a causa del Coronavirus è riuscita ad avere solo dei contatti con la sua insegnate di sostegno, che con buona volontà, l’aveva sentita più volte via web, ma senza il minimo contatto con gli insegnanti curriculari. Perché le arie che tirano, in questo strano periodo, giustificano e banalizzano momenti importanti.
La soluzione per Beatrice è stata: la promoviamo e, il prossimo anno, recupererà le lacune accumulate e nel frattempo apprenderà anche le nuove discipline. Le due cose messe insieme, l’appello “accorato” dei sedici e la soluzione trovata per Beatrice, ci fanno intuire come la nostra scuola sia una raccolta di fatti così contradditori da renderla eterno campo di battaglie didattiche, invece che luogo ricco di rapporti maturanti. I dieci e più anni importanti e formativi della vita dei nostri figli devono trovare persone, programmi, equipe ricchi di principi etici, sociali ed educativi.
Prima di parlare di aule, dobbiamo domandarci, come le università preparano i docenti e ancora prima, quanto le università siano attente, aperte, innovative e motivanti. Perché insegnare oggi, non è un mestiere, è una vocazione, è una scelta di vita.
Ci siamo scandalizzati per alcuni fattacci accaduti contro i docenti di qualche istituto scolastico. Abbiamo visto in questi giorni tra gli infermieri, gli operatori e i medici segni di senso del dovere eroico. Eppure nessuno di loro aveva fatto voto di eroismo. Hanno trasformato il loro lavoro in eroismo. Abbiamo disperato bisogno che lo stesso spirito alberghi nelle scuole, abbiamo bisogno che tutti, genitori, docenti, politici, facciamo proprio il contenuto dell’appello dei sedici! Però, non posso e non voglio augurarmi che arrivi un altro Coronavirus perché accada qualcosa. Abbiamo troppo bisogno che i nostri ragazzi crescano, sereni e preparati alla complicata vita di domani.
don Antonio Mazzi