LASCIATEMI SOGNARE

13/04/2020


Dobbiamo avere il coraggio di guardarci attorno, anche in questo momento, obbligandoci a non fare i profeti di sciagure. Non possiamo dimenticare che noi siamo figli del domani di ieri. E ieri, i nostri vecchi, hanno avuto il coraggio di uscire da una guerra che ci aveva distrutti, dal fascismo che ci aveva resi marionette, da una subalternità americana e da una falsa lettura sociopolitica filo-russa. Questo ieri, però, ci ha portati tra i principali paesi del mondo.

Oggi, invece, d’un tratto, pare che l’ieri sia precipitato, ma soprattutto che siano precipitati il meglio, i vertici, le istituzioni più efficienti, le intuizioni più indovinate. Lo spavento è diventato terremoto etico-sociale. Traballano in modo così catastrofico i pilastri sui quali avevamo passato un periodo da favola, senza guerre, senza emorragie interne ed esterne, per cui, mentre dopo le guerre, abbiamo avuto la forza di rifare le case, oggi restano le case, i grattacieli, le passeggiate nei cieli, con noi uomini, paralizzati, annichiliti, capaci solo di guardare fuori dalla finestra, non per vedere se qualche arcobaleno rispunta, ma solo per vedere centinaia di camionette militari, non cariche di armi, ma di casse da morto. Solo, e torno alla mia esperienza, i bordenline del periodo aureo, gli “sfigati” di ieri, oggi, sono gli unici capaci di accendere qualche barlume di umanesimo.

È una piccola storia quella che vi riporto, ma significativa. In una delle mie comunità, un ragazzo, certamente non tra quelli decantati dalle vicende borghesi, ma addirittura “scartato”, mi scrive così: “Io da poco ho dovuto passare un periodo nel quale una persona della mia famiglia è stata male, e io gli sono stato vicino, e mi sono stupito del mio comportamento perché ho fatto cose che mai avrei pensato di fare, comportandomi e scoprendomi molto diverso e molto più fortificato. Così mi è scattata un’idea. Ho voluto riunire i miei compagni, senza educatori per parlarci e per capire che dobbiamo stare tutti uniti e non vergognarci delle emozioni che abbiamo dentro, non vergognarci di una lacrima che esce davanti a tutti perché, secondo me, è quello che ti fa capire quanto una persona sta soffrendo in quel momento. Parlando con i ragazzi sono uscite tante cose, perché ci sono tante cose che tra noi non si sanno e saperle delle volte ti può aiutare a stare vicino di più a qualcuno. I ragazzi hanno espresso quello che volevano, c’è chi non ha mai festeggiato il compleanno della propria madre con lei, chi va fuori di testa per paura ed assume comportamenti che portano alla solitudine o a farsi del male fisico, chi ha parenti in galera o famigliari che dall’Italia non riesce a sentire, chi cerca di occupare il tempo perso con un libro, chi ha la possibilità di andare a casa ed è combattuto, ma poi invece resta anche con la voglia di migliorare, e chi, come me, sta male a vedere persone che si buttano giù a tal punto da perdere se stessi, perché siamo tutti sulla stessa barca e se ci tendiamo la mano a vicenda non sarà perfetto, ma migliore. Questo è un po’ quello che sto vivendo e vivono i ragazzi in comunità con me. A volte uno sguardo ti fa capire tanto di una persona, bisogna non avere paura di aiutarci perché un domani ci sarà qualcuno che lo farà con noi. Facciamo le cose con il cuore, sempre”.

Ripeto: piccolo episodio, ma nella tempesta mondiale, sentire un ragazzo della comunità che parla di cuore è rasserenante e confortante. La storia non è mai nata grande, ma dai quasi e da episodi. Tornano i giovani, quelli che abbiamo sopportato e descritto con una facile abbondanza di oggetti squalificativi. I giovani di domani, non saranno soggetti di seconde file e a servizio delle “signorie sindacal-politiche”. Anche perché il domani non cercherà Marx o Freud o le Banche di Francoforte, ma lo ricostruiremo rileggendo le avventure di Cristoforo Colombo, di Marco Polo riscoprendo Leonardo, Galileo, i Cantici di Francesco, l’Ora et Labora di Benedetto, la peste di Manzoni, le Sinfonie di Beethoven e le Favole di Fedro.

Le poche istituzioni di domani, dovranno ritrovare le loro radici vere, nate dalle Catilinarie, dalla pancia dell’ultima donna della terra e cresciute sulle caravelle, nelle catacombe e tra un’avventura e l’altra di qualcuno che non era nessuno. Tornare indietro, ogni tanto, ci permette di capire quanto del domani c’era già ieri, che noi, leggendolo male, abbiamo sepolto e castrato sitibondi di potere e di organizzazioni più finalizzate alla costruzione di portaerei che alla crescita di un mondo senza frontiere. Tornare al Rinascimento, oggi, potrebbe permetterci un triplo salto immortale con un atterraggio dentro ad una nuova divina commedia, scritta da chi simpatizza col milanese, col congolese e con il brasiliano e con i ragazzi di Scampia.

Spero in un domani che non farà più la fila davanti agli uffici, per dichiararsi cittadino di un piccolo villaggio chiamato Terra, un domani senza centinaia di strutture capaci solo di inventare leggi, politiche e regole, che banalizzano l’esistenza. Sarà la poesia, l’arte, la musica, la natura, a dare significato e capacità vitali degne di chiamarci civili, perché immerse nelle magie di quotidianità risollevate dalla schiavitù della produzione ad ogni costo, contente di avere solo quello che ci permetterà di tornare umani.

Don Antonio Mazzi – sul settimanale “Oggi”

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