Non capisco bene cosa vogliano dirci quando ci facciamo la domanda che ormai scappa fuori da ogni riga che leggiamo su qualsiasi quotidiano o settimanale. La domanda: “Come reagiremo alla nuova normalità che ci aspetta davanti alla porta, quando l’apriremo?”.
Me la sento fare anche io da molti, supplicando la risposta, perché secondo loro, noi (per noi credo che capiate cosa intendo dire) dovremmo in qualche modo avercela. Anche i miei ragazzi, i genitori, gli educatori, spesso me la pongono e io sto male. Faccio sempre più fatica ad ascoltare e se potessi vorrei urlare “basta!”.
Ma poi, sepolto nella mia clausura, triste da morire, perché dopo aver vissuto per quarant’anni in Cascina, notte e giorno, con i miei “figli adottivi”, doversi accontentare di rispondere al telefono o di vedermeli sullo schermo, è bestiale (frase loro!). Ma dentro di me, in clausura, da qualche giorno ho deciso di sparare quello che ho solo in parte dichiarato nei libri e negli articoli che vado scrivendo.
Vengo alla risposta che darei alla domanda. Cosa dovrebbe cambiare per noi che siamo sempre stati vissuti da questa società come “sbagliati”? Io sbagliato come prete; i ragazzi delle quaranta e più realtà che ho nell’Italia e nel mondo, più sbagliati ancora di me; gli educatori con i quali, durante i nostri incontri di formazione, ho fatto di tutto perché da normali diventassero sbagliati, perché dovremmo cambiare? Anzi, ci chiediamo, se non fosse giunta l’ora anche per voi, società del benessere consumistico, di voltare pagina! Perché solo facendo questo passaggio al momento di aprire la porta, avrete capito perché siamo caduti in questa tragedia inumana.
Basterebbe il numero dei morti, di questo periodo, per darvi l’ultima spinta. Mi meraviglia, quindi, questa ipocrita o pietosa o spaventata domanda che vi fate, perché se rimanete sempre gli stessi di prima del Coronavirus, cosa volete che cambi, quando si apriranno le porte? Passate dalla nostra parte, e capirete che gli sbagliati di ieri erano il frutto della vostra democrazia monca e mal interpretata, nella quale le priorità non erano certamente coerenti con il tipo di umanesimo ricco soprattutto di persone, uguali nei diritti e nei doveri anche se non allineate con la visione economica, produttiva, egocentrica.
Se non avverrà questo cambiamento, riapriremo solo le porte, lasciando morire i vecchi nelle case di riposo, obbligando i nostri figli a cercarsi lavoro girando il mondo, sopportando partiti, vuoti di valori e incapaci di tradurre la parola “minoranza”, non con la parola opposizione scatenata, ma con una visione partitica, diversamente condivisa.
Sono poche le cose che dovrebbero cambiare, ma di quelle non se ne parla. Sarebbero: un’economia solidale, una scuola “magistra vitae”, una politica senza frontiere, al centro della quale come priorità delle priorità una nuova cultura fondata non sull’uomo produttore e consumatore, ma sull’uomo libero, affamato di autenticità e convinto che solo le relazioni personali e plurali faranno del domani, un futuro pacifico, vivibile e poliedrico.
È quello che stiamo facendo noi, “gli sbagliati di ieri”. Solo a questo punto, aprite la porta.
Don Antonio Mazzi su “Buone Notizie”- Corriere della Sera
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