Il problema non sono (tanto) i 40 minuti ma le lezioni.
Non ha senso stare a discutere sulla lunghezza delle “ore” se prima non è chiaro che cosa dovranno contenere i tempi della scuola, le ore, le settimane.
Abbiamo capito che la scuola che inizierà a settembre di quest’anno avrà dei problemi di spazi: banchi distanziati, percorsi dedicati e regolamento per i flussi di studenti. Con non poche difficoltà reali e, in parte, gonfiate. L’edificio scolastico sembra essere in assoluto già oggi il luogo più pericoloso per i ragazzi e per gli insegnanti, più del parrucchiere o del supermercato, tanto che alcuni docenti si rifiutano di presenziare agli esami di giugno mettendosi nella paradossale situazione di fidarsi di più della capacità organizzativa e della sicurezza sanitaria di tutti altri piuttosto che della propria.
Accanto e in conseguenza di questi, si sta ponendo il tema degli orari di scuola: dovendo dilatare gli spazi accorciamo i tempi e il gioco è fatto. Mettiamoci poi dentro una bella dotazione di nuovi dispositivi per la didattica a distanza ed ecco risolta la faccenda.
Purtroppo o per fortuna no! La scuola merita un altro tipo di attenzione. I problemi principali non sono questi, lo sapevamo prima del Covid e adesso ci pare ancor più evidente. Prendiamoci magari una settimana o anche un mese in più ma partiamo dalla domanda giusta. Seriamente: che cosa è la scuola? Che cosa vogliamo che sia la scuola? Questa pausa forzata ci può consentire di prendere le distanze da risposte scontate per cercare di andare alla radice della questione come quando si deve cominciare una nuova grande avventura. Di questo ha veramente bisogno la nostra scuola, non di una pezza. E allora cos’è la scuola? Un luogo di apprendimenti? Un tempo di maturazione? Ma in che senso?
Ecco. Finito, ma non ancora risolto il conflitto tra insegnamento delle conoscenze e delle competenze, ora, a me pare, se ne presenta uno molto più radicale tra la scuola delle prestazioni e la scuola del senso. Ma non solo il senso della scuola, sul quale ci sarebbe già molto da lavorare. Ciò che serve alle ragazze e ai ragazzi è cercare il loro senso, di ciò che sono e ciò che vogliono essere, di ciò che serve per orientare le scelte. Se la scuola non riesce a intercettare questo piano allora il rischio è quello della sua sempre maggiore insignificanza.
Allora torniamo da capo: che cosa deve essere una “lezione”? Sia di 40 che di 50 minuti… Questa è la domanda cruciale. Cerchiamo la risposta insieme: insegnanti, genitori, educatori, all’interno di una nuova alleanza e nei luoghi vitali della nostra società. Senza accettare scorciatoie, tenendo insieme il valore degli insegnamenti e dei contenuti nelle nuove forme richieste dall’attuale frangente storico e la formazione globale che passa dalle competenze relazionali e dalla maturazione di una coscienza critica.
Una scuola migliore è possibile. Si, però bisogna volerlo insieme e con tutte le forze!
Franco Taverna, Responsabile Progetti Nazionali Exodus sulla povertà educativa minorile