CONTRO IL BULLISMO RIBALTIAMO LE MEDIE

29/01/2016

Tornare a parlare di bullismo, ormai mi fa quasi nausea. Abbiamo riempito giornali, settimanali, televisioni, libri (ne ho scritto uno anche io), tribunali. Si sono scomodati tutti i personaggi più illustri del mondo psicologico e psichiatrico. Formulette, ipotesi e proposte ne sono uscite e ne stanno uscendo a bizzeffe.
Però, il fatto della dodicenne Chiara di Pordenone, mi riporta ad una mia “fissazione” detta e ripetuta più volte ma ignorata. Mi manca l’aureola e il titolo di categoria. Noi facciamo parte dei maniscalchi, dei manovali. Dobbiamo lavorare e tacere.
Viviamo e vivo da decenni ventiquattro ore su ventiquattro tra queste tipologie di ragazzi e ho salvato gente perduta. Ma in Italia conta chi chiacchiera. Ed esoneratami dal fare nomi. Chiara mi riporta al problema della scuola media inferiore, cioè all’età 10/14 anni. Ripeto quanto ho ribadito più volte: la scuola media inferiore va ribaltata da capo e fondo. Quando è nata (quasi sessant’anni fa) quell’età era ancor l’appendice dell’infanzia. Oggi, invece, è il tempo dell’esplosione adolescenziale.
I docenti, le aule, gli orari, i metodi sono completamente inadeguati. Ammucchiare ore su ore ragazzi e ragazze che hanno il fisico in esplosione e pretendere che non succeda niente, quasi fossero dei seminaristi, è da criminali.
Perciò la gente da accusare non sono i genitori e tanto meno i ragazzi. È il contesto, la mentalità decrepita e completamente inadatta alla tipologia dei ragazzi. Le aule, le materie, gli orari, i programmi sono da scuole elementari. Sembrano inventati per scatenare fatti come questi. Anzi, mi meraviglio che ne succedano così pochi.
Tutti scriviamo sull’adolescenza, tutti sappiamo tutto, ma quando arriva il tempo di passare dalle chiacchiere alle scelte operative, la politica, la burocrazia, gli interessi professionali, i ruoli dei docenti bloccano tutto.
Secondo me vanno abbattute le aule, bruciati i banchi, evitate le ammucchiate, le classi fisse. Il programma va suddiviso in più parti, coinvolgendo tutto il corpo, non solo la testa. Poche lezioni frontali, fatte in aule sempre diverse e con compagni diversi. Vanno moltiplicate più ore di palestra, di musica, di teatro, di laboratorio. La scuola si deve aprire al territorio a persone e a testimoni affascinanti e significativi.
L’università, poi, si deve chiedere come aggiornare o meglio combinare la preparazione dei docenti. Perché non prevedere tirocini almeno semestrali prima della laurea e perché non obbligare ritorni almeno ogni cinque anni, per rimotivare e/o “bocciare” se fosse necessario certi professori?
Mi da l’impressione che i primi a fare la rivoluzione dentro la scuola media dovrebbero essere proprio i docenti, se non avessero (alcuni) più problemi degli allievi o non fossero spesso e volentieri depressi.
Seriamente parlando, questo si chiamerebbe sistema preventivo o meglio “politica di largo respiro”.

Don Antonio Mazzi