Sono Stanislao Pecchioli… faccio parte della grande famiglia di don Antonio Mazzi dal 1990, quando ha coinvolto me, e mia moglie Marta Del Bono, in una avventura educativa che ancora oggi ci affascina. Fedeli alle sue indicazioni nel lasciare ai collaboratori la più ampia libertà di declinare nelle comunità residenziali le sue straordinarie intuizioni educative, abbiamo sin da subito voluto connotare la struttura elbana come “sede del mare”.
Per raccontare questa esperienza e confortare chi legge sul destino di ciascuno di noi, devo andare ai giorni della mia “fanciullezza” e cercare laggiù le origini del mio “andar per mare”.
È stato mio padre che, nei miei primi 20 anni, mi ha coinvolto nel grande mare del mare. Dapprima nel nuoto, poi nella pesca, per finire poi nella cantieristica navale. Ricordo bene la prima lezione: mi prese in braccio e poi giù nell’acqua… l’istinto ebbe la meglio… trovai subito una spalla a cui aggrapparmi, così come nella pesca… mai prendere più del necessario. Era anche maestro d’ascia e rivedo quelle mani, che piegavano il legno al vapore dell’acqua calda, con grande nostalgia.
Si viveva in Africa e, tra i tanti lavori che egli ha svolto, uno in particolare mi ha coinvolto maggiormente: navigare. Ha insegnato per molti anni a pescare il tonno in Somalia, nelle acque prospicenti il Corno d’Africa. Ore e ore al timone di una vecchia barca a motore che lasciava il porto la mattina presto tirandosi dietro una decina di piccole imbarcazione di legno dette “uri”. A notte fonda si rientrava e tutto il pescato finiva inscatolato nella tonnara di Kandala, in Migiurtinia.
Dopo tanti anni tutti questi ricordi, misti ad una buona dose di esperienza, sono stati la “molla” che ci ha spinto a proporre il mare, e tutte le attività ad esso relative, come “contenuti” di un progetto ri-motivante per i ragazzi provenienti dalla tossicodipendenza e dalla grave marginalità sociale.
Le intuizioni del Fondatore hanno avuto ragione e oggi la comunità dell’Elba è in grado di offrire percorsi sul mare dal forte sapore di avventura, di catturare le emozioni, di allontanarsi da terra per esplorare nuovi aspetti delle relazioni all’interno di un equipaggio, nel programmare una rotta che impedisce di partire se non è ben chiaro dove si vuole arrivare.
Navigare è vento, sole, professione, programmare, imparare a dare una limitatezza alla risorse, ma soprattutto collocarsi in una dimensione di rispetto per l’altro e di condivisione. E poi c’è la barca a vela che è mezzo, che è casa, che va mantenuta con cure ordinarie e straordinarie.
Negli anni sono stati molti i ragazzi che hanno effettuato il percorso di recupero nella sede elbana, migliaia di miglia mai tese al divenire grandi velisti ma al vivere una esperienza complementare all’orto, al mantenimento della casa, all’andare a scuola, al fare parola, ad impegnarsi a riscrivere le regole dello stare al mondo.
Il Bamboo, mitico Baltic 51, donato a don Mazzi nel 1995 e la più recente Maria Teresa Hallberg-Rassy 49, condotte oggi dai ragazzi che hanno finito il percorso, ospitano a bordo ogni sorta di equipaggio. Bambini del progetto “Isola Mondo”, non vedenti dell’associazione “Homerus”, adolescenti della Regione Toscana con l’esperienza “ Ragazzi Insieme”. La partecipazione a numerose regate, le innumerevoli settimane azzurre con le scuole e tante altre iniziative nel mondo della disabilità psico/fisica/sensoriale, sono la testimonianza del valore educativo di quell’andar per mare che io allora avevo solo intuito e che don Mazzi ha realizzato andando contro corrente.
Sono felice di aver contribuito con Marta e tutta Exodus a dare valore d’uso ed educativo alla navigazione in barca a vela. Esperienza, un tempo non molto lontano, solo ad appannaggio dei più fortunati. Grazie.