LA STORIA DI UN PICCOLO UOMO

20/11/2015

Troppo grande per l’età che ha, troppo piccolo per quello che fa.
E. è un bambino di 12 anni, anche se definirlo bambino è un po’ riduttivo. E. ormai è un "piccolo uomo", che un po’ la vita, un po’ il suo carattere vivace, un po’ le situazioni in cui si è ritrovato, alcune senza volerle, altre ricercandole, lo hanno reso così, un "piccolo uomo". Troppo grande per l’età che ha, troppo piccolo per quello che fa. Quando ci hanno chiamato per parlarci di lui un po’ ci siamo fermati a pensare, ma poco, quel tanto che bastava per armarci e partire; di lui avevamo solo una pagina e mezzo di relazione inviataci dai servizi sociali del suo comune che parlava di un bambino pluriripetente (due volte bocciato in prima elementare), con un forte deficit di attenzione, problemi comportamentali e di condotta, il tutto all’interno di un quadro familiare non da cornice (genitori separati, precedenti penali, nuovi compagni).

Il primo approccio con lui è stato più che positivo, a tratti sembrava quasi timido, impacciato, ma forse aspettava solo di testare il terreno ed entrare in simpatia con le persone con cui si relazionava. Sarebbe rimasto con noi solo nei mesi estivi di luglio e agosto così, per toglierlo dalla strada, dopo che ben due case famiglie lo avevano rifiutato a causa del suo comportamento. Facile passare del tempo con un ragazzino di 12 anni all’aperto e con tante attività da proporre, facile ma riduttivo.

Per quello ci chiedevamo in continuazione cosa avremmo potuto fare per lui, per la sua situazione e i suoi problemi. E così decidemmo di proporre ai servizi sociali che lo seguivano di provare con E. qualcosa di diverso, magari aiutarlo il pomeriggio nei compiti a casa, o magari seguirlo anche a scuola, nelle lunghe e faticose ore di lezioni, troppo pesanti per un bambino come lui, in una situazione in cui pensare di vederlo seduto al banco per più di mezzora era davvero una cosa impossibile. Tentammo e ottenemmo ciò e non fu affatto facile. Tolto l’entusiasmo della novità, giustificare agli occhi dei compagni la presenza di una “ragazza per me” a scuola tutti i giorni non è stato affatto facile.

Ma tra un’operazione di matematica e un tiro al canestro, tra un dettato per migliorare l’ortografia e una caccia al tesoro alla ricerca del nascondiglio scelto per evitare la pagina di lettura, i mesi passavano e qualcosa in lui piano piano cambiava. Fu per questo che avamposti come sempre decidemmo quello che alcuni mesi fa sembrava impossibile, cioè di tentare di raggiungere un ulteriore obiettivo e cercare di non solo concludere l’anno scolastico nel migliore dei modi, ma addirittura di fare l’esame di idoneità che avrebbe permesso al bambino di frequentare per il prossimo settembre la prima media. Il sudore e l’impegno che è riuscito a metterci, alternato ai giorni in cui poca era la voglia anche solo di aprire libro, lo hanno aiutato a crescere e a migliorare, a piccole dosi, il suo comportamento.

Vedere l’agitazione nel giorno dell’esame, la felicità appena usciti dall’aula, l’imbarazzo mentre taglia la torta presa per festeggiarlo sono valsi tutto l’impegno e il sudore, le brutte parole e anche le mani addosso che a volte in questi mesi ci aveva regalato sfogando la sua rabbia e la sua frustrazione nel modo più facile, ma più sbagliato.

Il giorno più bello? Uno dei pochi in cui eravamo riusciti a restare in aula con il resto della classe, nonostante la lezione di grammatica; la maestra spiegava e mandava alla lavagna qualcuno ogni tanto per fargli fare delle frasi sulla nuova lezione; quando ho visto la sua mano alzata credevo chiedesse di uscire e invece “maestra! Posso venire a farle io?” inutile dire che fu all’altezza della richiesta, inutile parlare della sua soddisfazione.