Abbiamo speso tutti gli aggettivi possibili per definire questo tempo. Rimane però, al di là della banalità di inventare aggettivi, l’assurda situazione con le conseguenze della peggiore delle guerre, sia per estensione, sia per mortalità e sia per modalità.
Io ho vissuto, bambino ma non troppo, la seconda guerra mondiale. Tutti mi chiedono come l’ho vissuta e a tutti dico che quello che sta succedendo oggi dal punto di vista umano è talmente diverso, da farmi dire che tra quella guerra e il Coronavirus è passata l’eternità.
Mi fermo solo all’aspetto più umano e che già distingue sufficientemente i due fatti: la solitudine.
La guerra di ieri ci ha uniti, nessuno è rimasto solo. Anzi andavamo dai nonni e ce li portavamo nei rifugi, nelle stalle a giocare a carte, all’osteria, alla bocciofila. Se invece penso alla Pasqua di quest’anno e alle solitudini provocate da questo virus, mi scoppia il cuore.
Ho davanti la faccia di mio nonno, colui che mi ha fatto da padre e che mi ha amato più di tutti i miei cugini, perché io ero il più disobbediente. Me lo sento ancora abbracciato, mentre fuori i tedeschi bombardavano Verona e ricordo le nottate vissute mezzo addormentato tra zie, zii e cugini. Posso dire che mai come in quel periodo di guerra ci siamo sentiti uniti, amati, con la fetta di polenta e salame sempre calda sulla graticola davanti al fuoco del camino. E la candela che ci illuminava i volti.
Oggi la cosa che mi fa più soffrire è proprio la solitudine che ha provocato questa bestia. Ma l’assurdo nell’assurdo, posso capire il vecchietto o l’adulto solo, caduto nella trappola della quarantena. Ma qui sono soli anche coloro che vivono in famiglia, ad un metro di distanza l’uno dall’altro, senza potersi abbracciare e baciare.
Alcuni poi me li vedo chiusi in camera in attesa di un piatto di minestra che arriva alla porta perché segregati.
Torno alla Pasqua e al Lunedi dell’Angelo, ai giorni in cui, con Ferragosto e con Natale, correva la felicità tra gli addobbi, con l’agnello sulla tavola, con la Colomba, il Panettone i regali e la poesiola dei nipotini. Per un giorno eravamo in un mondo quasi inverosimile.
Quest’anno forse arriverà qualche pacco dono, qualche telefonata, ma l’abbraccio, la tavola imbandita, le campane a festa, la parola PACE la reciterà il Papa in una Piazza San Pietro reso più vuoto con statue di Apostoli e di santi seminate in tutti gli angoli. Sarà possibile trasformare queste solitudini in speranze?
Don Antonio Mazzi