La festa del Corpus Domini ci rimanda al simbolo del pane. Il pane condiviso è il segno che Gesù lascia ai suoi dicendo: “Fate questo in memoria di me”. Sul pane sono stati scritti molti libri, opere antologiche, voci enciclopediche, saggi. Uno di questi libri è Pane nostro, dello scrittore Predrag Matvejevic.
Solo alla fine del libro si capiscono le ragioni per cui lo storico di Zagabria ha sempre pensato al pane: durante la seconda guerra mondiale suo padre lo mandò di nascosto a consegnare una mezza pagnotta di pane a dei prigionieri tedeschi affamati e uno di loro, davanti al pane, pianse. Il pane è la sintesi della natura e della cultura.
La cultura del pane attraversa le pagine della Bibbia, del Corano, dell’Odissea, la storia del pane è scritta sui rotoli del Mar Morto, nei geroglifici dell’Egitto.
Pane significa vita, amicizia, giustizia, festa, diritti umani. Il pane conserva anche nel contesto più laico una dimensione “sacra”.
Il pane non si butta, non si spreca, non si gioca con il pane. Non ci hanno educato così i nostri genitori? Eppure oggi tanto pane si getta, si spreca.
Molti nel mondo non hanno pane. Altri sono obesi di beni. Per il pane si sono fatte guerre, ci si è divisi tra Oriente e Occidente, a causa del pane lievitato o non lievitato si sono combattute battaglie di religione.
Il pane è forse il ritratto più verosimile dell’umanità, della sua fragilità e del suo desiderio. Dio dà il pane al suo popolo solo per il giorno che nasce, perchè non ne faccia un idolo, perché non trasformi un forno di pane in un arsenale di guerra.
Nel Vangelo Gesù si presenta come il Dio che fa il pane.
Cosa vuol dire questo Dio fatto pane? Tutta la parabola di Gesù è segnata dal pane: nasce a Betlemme (la “casa del pane”) e, una volta risorto, si fa riconoscere dai discepoli di Emmaus nello spezzare del pane.
In mezzo alla sua vita fa della moltiplicazione dei pani un nuovo modello per ridistribuire i beni, per rifondare una economia della fratellanza.
“Fate questo in memoria di me”, dice come suo testamento, e spezza il pane. In un’altra pagina del Vangelo: “Chi mangia di me vivrà per me”. Cosa vuole dirci? Mangiare questo pane significa assumere il progetto di Gesù, del Vangelo. Significa assumere il rischio e la gioia del Vangelo. Ci domandiamo quale pane mangiamo? Quale progetto alimenta la nostra vita? Di che pasta siamo fatti? Quale pane ci chiedono i nostri figli? Ai nostri giovani quale pane offriamo?
In una lettera del 1950 don Lorenzo Milani scrive a Pipetta, giovane comunista di San Donato Calenzano (Firenze), condividendo la passione per la giustizia:
Ti manca il pane? Che vuoi che me ne importasse a me, quando avevo la coscienza pulita di non averne più di te, che vuoi che me ne importasse a me che vorrei parlarti solo di quell’altro Pane che tu dal giorno che tornasti da prigioniero e venisti colla tua mamma a prenderlo non m’hai più chiesto.
Ecco l’etica del pane… questa è quanto ci domanda il Vangelo.
Finisco con Pablo Neruda, poeta laico e innamorato della vita, che ha composto questa Ode al pane:
Del mare e della terra faremo pane,
coltiveremo a grano la terra e i pianeti,
il pane di ogni bocca,
di ogni uomo,
ogni giorno
arriverà perchè andammo a seminarlo
e a produrlo non per un uomo
ma per tutti,
il pane, il pane
per tutti i popoli
e con esso ciò che ha
forma e sapore di pane
divideremo:
la terra,
la bellezza,
l’amore,
tutto questo ha sapore di pane.
Che tutti noi possiamo intonare il cantico del pane!
don Antonio Mazzi su – “Noi in famiglia – Avvenire”