Le ultime vicende mondiali, da alcuni chiamate tragiche, drammatiche e da altri attribuite a politiche mal gestite o a tensioni internazionali manipolate nei modi più impensati, ci lasciano sbigottiti. Noi siamo ancora fermi alle guerre e ai missili. Dico ancora fermi perché le rivalità politiche e le prepotenze economiche nate dalla pandemia sono diventate più deleterie delle guerre rivelando terremoti sociali capaci di smuovere spaventose catastrofi umane.
Sono tante le ombre che ingigantiscono le paure e le morti. Dando per chiaro che è soprattutto la salute, la sanità, la tipologia anonima del fenomeno che fa strage, ma non dobbiamo nemmeno trascurare gli effetti collaterali, altrettanto preoccupanti anche se esternamente meno deleteri. Cito la politica, la scuola, la libertà, la famiglia, il lavoro, la chiesa. Mi soffermo sul tema famiglia, giovani, figli, genitori. Abbiamo sottolineato le settimane di clausura vissute causa Coronavirus. Dentro a queste settimane si sono maturati temi e problemi che hanno rovesciato l’intero mondo familiare.
Noi italiani, conosciuti come iperprotettivi e particolarmente interessati a trattenere le nostre creature, ancora una volta veniamo citati da Eurostat, con le solite percentuali applicate ai nostri figli, come se si trattasse di un paio di scarpe in saldo tenute nell’armadio per anni. Hanno dei titoli: i 30enni italiani ancora in casa, mentre in Svezia già tredici anni prima sono a spasso per il mondo. Io sono di parte, ma statistiche di questo tipo mentre la morte viaggia con centinaia di migliaia di genitori, di figli e di nonni mi innervosisce. Troppi numeri leggiamo, vediamo e sentiamo scandire da giornali, radio e televisioni. Non credo che laddove il Covid ha colpito seriamente, si debba discutere se è meglio uscire di casa a 20 anni o a trenta. Forse il fenomeno va letto partendo dagli ospedali più che dai numeri.
Io sono tra quelli che sperano in famiglie complete, con case decenti, e con figli che non si defilano da casa per poi vederteli tornare positivi o portatori di positività mortali. Usiamo più tempo in ricerche pedagogiche, cariche di speranza, capaci di solidarietà. I rischi di andate e ritorni del Covid non dipendono da una adolescenza ritardata o dalla capacità di farla franca. Una volta era la mancanza di lavoro, e le mamme coccolone, oggi si tratta di vita o di morte. E con questo è meglio non parlare di percentuali, ma di maturità ed equilibrio.
Don Antonio Mazzi