Purtroppo il coronavirus ci ha travolto, e adesso che la ragionevolezza ha preso il sopravvento sulla drammaticità, siamo atterrati e abbiamo subito sentito gli odori del passato, anzi ancora più acri e nauseanti. Le bestie feroci trovano sempre il boccone giusto, e talvolta lo trovano in posti che nessuno prima aveva immaginato. Le due bestie che hanno mangiato carni più fresche o più prelibate, durante questo periodo tragico, sono state la droga e la violenza intra famigliare. Già l’ho scritto perché i nostri ragazzi sono sempre aggiornatissimi. Non era più Rogoredo il campo di battaglia. Troppo rischioso. La droga la partano a casa, comodamente. Sottolineo comodamente perché è stato uno spacciatore a raccontarmelo. Dalle diciotto in poi, in bici, porta-pizze e via tranquilli. Parla sempre lui, lo spacciatore: abbiamo accontentato tutti!
La seconda bestia è stata ed è ancora, la violenza che la clausura ha provocato sfruttando situazioni famigliari che già traballavano. Una cosa però mi spaventa di più, adesso che abbiamo superato il momento più drammatico e che abbiamo aperto le porte, citando sempre il mio “amico” spacciatore: “potrebbe accadere che i normali e i quasi normali, escano dalla quarantena, migliori, ma che i peggiori siano diventati ancora più perversi, più pericolosi e più difficili da recuperare”.
Per non disperarci, le poche cosa belle che nascono nella tempesta, sono quelle che ricompensano tutto il brutto che sembra prevaricare. Ne racconto una.
Uno dei ragazzi, da poco arrivato in comunità e che veniva dai posti maledetti, durante la quarantena scrive a suo padre. “Ciao pa’, ti ho sempre chiamato così e non papà… come se mancasse qualcosa. Ti scrivo per la prima volta, oggi che ho 25 anni. Ho deciso di dirti ciò che sei per me e quello che provo per te, adesso che finalmente ho deciso di dire “basta”. Mi sto disintossicando dall’eroina e dalla cocaina che tu definisci “quella schifezza”… Sono in Exodus da poco tempo e sto apprezzando sempre di più questa casa, a partire dai compagni fino ad ogni singolo educatore, operatore e volontario.
Vorrei d’ora in poi non chiamarti più pa’, ma semplicemente papà… So che chiami spesso gli educatori per sapere come sto e questa cosa mi riempie di gioia, rendendo le mie giornate serene. Sono fiero di essere tuo figlio e lo sarò per sempre. Questa lettera è il mio regalo per la tua festa. Sappi che quando potrò riabbracciare la vita e la mia famiglia non mollerò più la presa. Grazie papà, ti voglio bene”.
Godiamoci anche queste piccole “conversioni”, aiutano!
Don Antonio Mazzi
don Antonio Mazzi