Il Papa è sempre stato molto presente e sensibile su questi temi: ha parlato della tragedia dei migranti, ha citato Caino e Abele, ci ha ricordato che “la cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri”. Ha detto Francesco: “E Dio che bussa alla nostra porta affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato, chiedendo di essere incontrato e assassinato, chiedendo di poter sbarcare”.
Sono le opere di misericordia che oggi si potrebbero riassumere in una sola parola, fraternità, stare insieme con i nostri fratelli. È ora di dare un significato profondo alla parola cristianità, è tempo che le parole diventino gesti universali, uno stile di vita.
Il Santo Padre non parla da Papa della cristianità, ma da Pastore che piange con tutti: cattolici, musulmani, protestanti, ebrei… ora però mi chiedo se questo grande Papa, se le sue grandi parole siano pronunciate a nome della Chiesa o Francesco è un Papa solo?
Quando dice “è Dio che bussa alla nostra porta”, mi domando: quando bussa alla porta di certi palazzi vescovili, qualcuno apre? Perché Francesco sembra più ascoltato dalla gente di strada che dalla Chiesa. Perché le porte della Chiesa, di noi pastori degli apostoli, devono aprirsi anche prima che bussi il povero.
don Antonio Mazzi