“Bene, va bene, anche se bene è una parola impegnativa”. Usa parole oneste Mino Spreafico, educatore formatore della prima Carovana Pronti,Via!, il progetto di Fondazione Exodus selezionato dell’impresa sociale Con i Bambini, nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Un intervento quadriennale per dare una risposta psico-socio-educativa a minori sottoposti a misure restrittive da parte della Autorità giudiziaria.
«Siamo alla prima Carovana e iniziamo ora, dopo alcuni mesi a capire, insieme ai ragazzi, come modellare il progetto. Perché si sa, quando si lavora con gli adolescenti, non esiste uno schema precostituito che regga, e noi educatori per primi dobbiamo avere sempre la flessibilità per rimetterci in gioco ogni giorno».
I ragazzi della prima Carovana Pronti,Via! sono «adolescenti che non hanno ancora completamente deviato la loro vita, sono irrequieti, ma quale adolescente non lo è? Certo il passo che li separa dalla devianza è breve, e noi dobbiamo inserisci in quello spazio piccolo - ma fondamentale - per invertire la rotta prima che sia tardi».
Il gruppo composto è da nove ragazzi e un’équipe di educatori e formatori, sempre in contatto con i Servizi Sociali di riferimento dei ragazzi. «I ragazzi», aggiunge Mino, «sono molto diversi tra loro, quindi dobbiamo sempre ragionare avendo davanti un doppio binario: quello del gruppo e quello del singolo».
Siamo sicuri che la cultura, la società come anche la giustizia siano pronti al modello della carovana? «Dedichiamo la nostra vita», aggiunge Mino, «a questo progetto ma alcuni ci considerano buonisti e perditempo. Abbiamo bisogno di trasformare completamente l’approccio che ha la società al tema dell’educazione».
Tema quello dell’educazione che deve essere riaffrontato anche dagli “addetti ai lavori”. «Le università preparano gli studenti che vogliono intraprendere il viaggio - seppur difficile ma sempre straordinario - nel mondo dell’educazione, come fossero degli esecutori e non dei registi. La formazione che viene data è parziale e una volta sul campo gli educatori vedono delle cose, ma di fatto non hanno strumenti per lavorarci. Questi studenti-educatori arrivano pieni di motivazione e alla fine si trovano a fare un lavoro nel lavoro: supportare i ragazzi e accrescere le loro competenze».
È difficile lavorare con ragazzi e ragazze che spesso ti mandano a quel paese: «spesso ti deridono, deviano, per la maggior parte della loro vita hanno visto conflitti, relazioni provocatorie, e in quale modo ricorrono a quelle per instaurare un qualche tipo direzione. Si va per esempio a mangiare una pizza, chiedono una birra, tu dici no e subito scatta il conflitto, magari banale ma che gli educatori non sanno governare… Ci vuole una grande capacità di resilienza educativa che l’educatore costruisce passo dopo passo».
Redazione Progetto “Pronti,Via!”