SERVIZIO CIVILE PER I GIOVANI. UNA SECONDA MATURITA’

25/06/2020


Caro direttore,

perché i nostri figli e figlie, arrivati alla maggiore età, non potrebbero fare tutti un periodo di servizio civile mirato, impegnativo e in situazioni di forte emarginazione in Italia e nel mondo? Nella mia giovinezza, a ridosso della seconda guerra mondiale, avevamo meno cervello, ma un po’ più di cuore. Non eravamo più buoni, ma nemmeno così egocentrici. Oggi le circostanze si sono completamente rovesciate. Vogliamo i nostri figli tutti laureati, intelligenti, svegli liberi e imborghesiti.

Sono sempre stato un po' anarchico. Ho perso il padre a quindici mesi. Mia madre l’ho sempre vista seduta davanti ad una vecchia Singer a cucire asciugamani, fodere, lenzuola, tovaglioli o tovaglie, per poi ricamarle. A tavola, solo la domenica, io e mio fratello condividevamo un piatto in due, con le pappardelle fatte a mano dalla nonna, eppure non mi sono mai sentito povero, ma solo orfano, di sorrisi, di libri e di quaderni da scarabocchiare per ore e ore. Era il mio quasi unico divertimento. Nella vita ricca, borghese, invece, passano infiniti oggetti, cose, drammi, ma non lasciano i segni della fatica, del dolore, della fame e nemmeno costruiscono sogni. Le vicende che esigono il bancomat, il titolo di studio e solo il cervello, non fanno crescere. Siamo completi quando uniamo testa e cuore, cervello e corpo, fatica e festa, sensi e sensazioni. La vita va vissuta intera perché ricca di difficoltà. Dice Heidegger: “Gli uomini per essere liberi dovrebbero caricarsi di fardelli”.

I nostri figli cresceranno solo se li immergeremo in tutte le situazioni della storia. Invece, da anni, facciamo esattamente il contrario. Evitiamo alle nostre creature tutto ciò che è faticoso e degno di essere affrontato. In Madagascar vedevo le donne far fare il bagnetto ai bambini dentro le pozzanghere. La prima volta che le ho viste ho pensato: “poverette!”. La seconda volta non ho detto nulla, perché venivo da Milano e avevo letto i giornali nei quali si raccontavano storiacce di ragazzi che facevano ogni giorno il bagno nell’acqua pulita. La ricchezza, la borghesia, il potere, non sono mai entrati nell’elenco delle scienze formative. Da circa un secolo abbiamo evitato ai nostri figli tutto quello che puzzava di sudore, di fatica, di solidarietà.

Galimberti dice che “dalle quarantene del Coronavirus non ci portiamo a casa niente di buono. Noi siamo e restiamo quello che siamo stati”.

Mi rifiuto di pensare che Galimberti abbia ragione, perché significa che sto ulteriormente a perdere tempo quando parlo, vivo, scrivo, sogno giovani diversi per un domani diverso.

Se la “scuola famigliare” e i tre mesi di clausura non sono serviti a niente, voglio ricordarmi e ricordarvi le due cause: la prima perché noi adulti non facciamo più figli; e la seconda perché i ventenni che abbiamo fatto, li abbiamo mollati tra una famiglia vera e una fasulla, vuoti di interessi e di affetti sostanziali.

Le mie provocazioni vogliono un atto di coraggio: che ciascuno di noi si butti per una mezz’oretta sul divano, chiuda gli occhi e dia una ripassatina al suo ieri, con la poca importanza data alla educazione, alla scuola. Dice Recalcati che “se non ripartiamo dalla scuola, tutto sarà vano. Senza una buona scuola, un Paese è morto. E senza una esperienza scioccante i nostri figli corrono grandi rischi. Ho proposto il Servizio Civile, dopo la maturità scolastica, perché c’è un’altra maturità, quella sociale, che passa attraverso le povertà annusate, condivise, partecipate.

Solo dopo aver attraversato queste due maturità, i nostri figli avranno gambe per camminare ricchi di umanità. Perciò, ironizzare sul fatto che drammi inimmaginabili hanno obbligato questa nostra scuola già disastrata a prendere per gli esami di maturità soluzioni poco efficaci, affrettate e ulteriormente destabilizzanti, non fa bene a noi grandi e tanto più ai nostri adolescenti. Urge ritornare sulle strade della conoscenza e della coscienza. “Conoscere se stessi – dice Enzo Bianchi – comporta un necessario passo preliminare: aderire alla realtà, conoscere la propria relazione con la storia, gli altri, il mondo, perché è così che ciascuno di noi esiste ed è coinvolto”.

don Antonio Mazzi

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