UNA VIOLENZA FEROCE CHE CI RENDE PIU’ BESTIALI DEGLI ANIMALI

18/09/2020


Un pensiero cattivo, quasi fosse un chiodo, mi si è conficcato in testa. Eccolo: le atrocità che da qualche tempo subiamo anche solo leggendole, attribuendole almeno in buona parte al Covid, non mi convincono. Vivendo tra giovani e meno giovani particolari, già molto tempo prima del coronavirus, misfatti simili e forse anche peggiori, li avevo incontrati. Il pensiero cattivo, però, non è questo. Lo pongo con il punto di domanda. La violenza, come quella di cui stiamo parlando, porta i Killer solo alle bestialità o vanno oltre? Possono le atrocità tra uomini divenire peggiori delle atrocità tra animali? Che delle persone potessero diventare peggiori delle bestie, era il mio pensiero cattivo! Sfogliando, poi, per caso un giornale ho letto che uno la pensa come me. Recalcati scrive: “Quando si dice violenza bestiale, si pensa che nella violenza cieca, l’uomo regredisca alla bruta istintualità dell’animale. Ma è veramente così? Non dovremmo invece anche di fronte a questo ultimo fatto di cronaca a Colleferro, provare a ribaltare scabrosamente il nostro modo di vedere le cose?”.
E qui arriviamo al mio spaventoso dubbio. Non dovremmo provare a pensare che nessun animale sarebbe capace di raggiungere la ferocia alla quale può giungere la violenza umana? Secondo Recalcati la violenza dell’uomo rispetto alla violenza istintuale delle bestie, riflette un godimento pulsionale. Non c’entra per niente la difesa della razza. E in questa spaventosa atrocità l’uomo regredisce talmente da ritenere ogni interferenza, parola compresa, ulteriore occasione per perfezionare il godimento pulsionale. Willy infatti è stato massacrato perché ha interferito, ha tentato di parlare, di dividere, di mettere pace, di ingrippare il meccanismo bestiale.
È mai possibile? Ma dove siamo precipitati? Sono queste le misure della civiltà e della socialità? Caduti in questi abissi, quali strumenti, quali attrezzature, quali salvagente possiamo inventare, dopo aver fatto di tutto perché tale abisso si chiamasse “tempi migliori”? Dopo questi fatti perché perdiamo tempo a litigare per i banchi monoposto e i bus quasi pieni? Perché non ci sediamo tutti per terra e partendo dai tre anni non ci domandiamo perché abbiamo le mani, le gambe, la parola, il sorriso. È possibile che tra le incubazioni infantili ci sia già la violenza, il culto dissennato per i pugni chiusi e per i muscoli, invece che la dolcezza, l’abbraccio e il gioco? Se non trasformiamo la scuola in palestra di vita, domani questi fatti saranno quotidiani e non eccezionali. Diventando grandi, diventiamo più uomini o più animali di razza? Per favore, non trasformiamo anche noi, la vita in un campo di arti marziali.

Don Antonio Mazzi