Ricominciano le scuole e siamo sempre qui a farci le solite domande, a rinnovare le solite polemiche e impegnati soprattutto a salvare per primi i presidi, gli insegnanti, abbondantemente sostenuti dai sindacati. Io, invece, torno con mia solita fissazione alla preparazione e alla formazione dei docenti.
La scuola non è cambiata perché occorrono i Green Pass o perchè i trasporti, come al solito, saranno strapieni e perciò ad alto rischio. La scuola deve cambiare dalle radici. Fino a ieri era soprattutto il luogo dell’apprendimento delle varie materie linguistiche, matematiche, storiche. Perché a scuola venivano dei ragazzi che dovevano apprendere, imparare, farsi un minimo di cultura. A tutto il resto ci pensavano la famiglia, il territorio, i Comuni e le svariate realtà sociali. Oggi è rimasta solo la scuola: il luogo dal quale passano tutti e vivono periodi importanti e delicati della loro vita.
Il Covid ha silenziosamente devastato tutta quella rete di relazioni piccole, quasi sotto traccia, ma che vivificavano e davano significati al dentro e al fuori della famiglia. Già prima della pandemia i segnali di fragilità sociale erano apparsi, vuoi con le dipendenze sempre più varie, misteriose, chimiche, vuoi con la scomparsa delle amicizie giovanili, sostitute da bande di quartiere messe insieme in poche ore, o dal bullismo o dalla voglia di razzie gratuite e talvolta pericolose.
I ragazzi che oggi arrivano a scuola sono interiormente debilitati e orfani dei rapporti adulti veri così come di valori minimi. La figura dell’insegnante, oggi, sostituisce la figura paterna e tutto quello che ne consegue. Le relazioni che devono nascere dentro le aule non devono esaurirsi nei compiti, nelle interrogazioni, nei trimestri o nei quadrimestri. Non si tratta più di produrre promozioni scolastiche, ma di inventare produzioni vitali, educative, solidali, valoriali. Il rapporto giovani-adulto nelle ore scolastiche ha la priorità assoluta.
Invece, abbiamo lasciato gli insegnati non solo con le difficoltà di ieri, ma soprattutto senza il minimo aiuto e i possibili tirocini preventivi indispensabili e con autonomia nel gestire le classi liberate dalle cento regole e priorità della scuola di ieri.
L’istruzione è importante ma non basta, perché noi non siamo solo una scatola da riempire, siamo anche una potenzialità caotica la cui azione va suscitata perché inizi a creare. I ragazzi devono ricevere dalla scuola una motivazione che li metta in moto. L’istruzione considera la mente come un vaso, l’educazione come legna da accendere. Ce lo diceva Plutarco duemila anni fa.
Accendiamo in fretta il fuoco, perché vaso e legna sono già pronti da tempo.
don Antonio Mazzi su La Ragione 04/09/2021