Tra poche settimane riprenderà la scuola e tutte le priorità, le discussioni, le problematiche delle quali abbiamo parlato durante il periodo micidiale rimangono lettera morta.
Il nostro Parlamento ha ben altre cose che valgono molto più dei nostri giovani, del loro presente, del loro futuro e del benessere di cui ognuno di loro dovrebbe godere.
Poiché la scuola è uno dei luoghi più capaci di scatenare benessere o malessere, credevo che facesse parte degli ordini del giorno di questo periodo politico. Noi del mondo dell’educazione e del Terzo Settore siamo quasi scandalizzati per questi contegni e non vogliamo subire passivamente la condotta superficiale e vanesia delle destre e delle sinistre. Il disagio dei nostri giovani, oltre ad essere disagio famigliare e sociale, è soprattutto disagio scolastico e fonte del nostro disagio.
Dei tempi, modi, relazioni, programmi, formazioni, incontri preparatori tra docenti, genitori, forze del territorio, nemmeno l’ombra. Aggiungo anche il problema dei mezzi pubblici e delle strutture scolastiche.
Lo psichiatra Eugenio Borgna scrive: “Incontrando studenti del liceo sono stato francamente impressionato della presenza in loro degli ideali di sempre e della passione della speranza: e questo, e non solo questo, mi ha fatto ripensare ai conflitti possibili con gli adulti, incapaci di riconoscere questi ideali e questa passione”.
Voglio applicare alla scuola una interessante riflessione che il sociologo Mauro Magatti applica alla nostra odierna società: “Il problema è che la stagione è finita senza però che un’altra ne sia cominciata. Siamo cioè in un “interregno”, quando il vecchio muore e il nuovo non può nascere. È come se fossimo degli alluvionati. Il paesaggio intorno a noi è per tanti versi desolante. In questa situazione post-emergenziale, il nemico più terribile è la divisione derivante dall’elemento oppressivo associato alle enormi difficoltà che abbiamo davanti”.
Il vero dramma è che anche nelle alluvioni, qualche barcone di salvataggio da qualche parte esce. Qui, invece, il primo a immergersi è il barcone. I salvatori sono stati i primi a perdersi nelle acque o tra i ruderi. Ma per noi, uomini di speranza, saranno i ragazzi, la loro voglia di progetti, di futuro, di vita vera che, con nostra meraviglia, troveranno altre barche e altri mezzi per vivere e farci sopravvivere.
In meno di vent’anni abbiamo subito rischi, emergenze, cambiamenti mondiali. Forse, ci dice Goethe, dovremmo essere capaci di fare in modo che “il principio con la fine si trasformino in un unico tutto”. La falla nella nostra intelligenza collettiva sottostima i problemi veri e tende a non prendere sul serio gli allerta.
Dobbiamo, invece, apprendere dall’esperienza che abbiamo fatto insieme, riconoscendo che la realtà c’è e non è sotto il nostro controllo. Urge avere la forza. Credo e spero che siano i giovani a capirlo, di mettere all’angolo l’insipienza di chi rimanda a data da destinarsi le azioni che possono ridurre la nostra esposizione ai rischi.
Ed è a questo punto che vedo spuntare la scuola nuova, l’educazione sociale.
don Antonio Mazzi su “La Ragione” – 10 luglio 2021