Volere o no, prima o dopo dobbiamo diventare tifosi della vita.
E per vita intendo il grande dono che ci è stato dato, ma che esige molto impegno e dedizione assoluta. È il più grande regalo ma in questo periodo da troppi banalizzato vergognosamente. Non si può vivere tanto per tirare a campare o per fare campagne elettorali.
Voglio abbinare la vita alla tifoseria per la sua spontaneità. Noi interisti, ad esempio, se andiamo allo stadio non ci andiamo tanto per vedere gente che corre ma, qualunque sia la partita, dentro di noi il lato ‘tifoso’ c’è sempre. Ed è quello che ci fa divertire o urlare o arrabbiare! «Al cuore non si comanda» dicono quelli delle curve.
Aggiungo però che davanti alla vita dobbiamo essere tifosi non solo della nostra ma anche di quelle dei vicini, degli amici, dei parenti e, via via, del mondo intero perché – diversamente dal tifo sportivo – la vita è la partita che tutti dobbiamo vincere, aldilà dell’appartenenza nazionale, cittadina, individuale o internazionale. Noi siamo figli del mondo e perciò fratelli di tutti, soprattutto dei diversi, dei più poveri, di chi ha avuto la vita in regalo come noi, ma poi la società non ha ricambiato e completato il gesto iniziale.
Agli sfortunati abbino i nostri ragazzi. Permettetemi che, per la passione che nutro verso i giovani, arrivi alla scuola e alle moine parasindacali ed egoistiche di molti inseganti che, rinunciando alla cattedra, lasciano vuoti per settimane centinaia di classi e istituti. In Lombardia, ad esempio, il post scuola attivo per 7.500 bambini ha trovato 160 educatori volontari su 300 e da ultimo sono stati elencati tra i lavori pesanti quelli dei bidelli e dei cassieri.
La vita dei nostri ragazzi vale sempre meno di uno stipendio o di uno spostamento in località gradite.
Evviva il tifo per i nostri figli!
Forse ha ragione ancora una volta il presidente Mattarella che giorni fa, inaugurando a Pizzo Calabro l’anno scolastico 2021/2022, ha detto: «È incoraggiante e importante l’adesione dei giovani alla campagna vaccinale. Non di rado in famiglia sono stati proprio i giovani a spiegare le buone ragioni dell’immunizzazione, a rompere gli indugi e a fare per primi il vaccino, anche quando i genitori tentennavano…
Quando nascono grandi speranze sociali, i giovani sono protagonisti e rivelano da che parte sta il desiderio di libertà. La scuola è l’argine più robusto ai comportamenti distruttivi perché tende a essere motore di trasformazioni sociali ed è il primo luogo dove la società sperimenta concretamente che le diversità sono ricchezze. Si è molto operato per incrementare il numero degli insegnanti di sostegno ma tanto resta ancora da fare per colmare lacune e rimuovere ostacoli. Urge andare più veloci. Guardiamo l’esuberanza dei nostri ragazzi, specchiamoci nella loro speranza, che trasmette coraggio agli insegnanti, alle famiglie e a tutti noi».
La citazione è lunga, ma prova che anche il nostro presidente è ‘tifoso della vita’ e dei nostri ragazzi.
don Antonio Mazzi su La Ragione – 25/09/2021