Sono abbastanza stanco di sentire che i nostri poveri ragazzi sono stati richiusi dento i simulacri delle loro case e, adesso, finalmente, dopo la persecuzione messa in atto dal Coronavirus, possono cantare inni ad una libertà ritrovata. E dobbiamo, lo dicono quelli che se ne intendono, accettare qualsiasi pazzia in nome della gravissima e distruttiva, tempestata covidiana.
È tempo di liberare i figli. È una marea che non dobbiamo e non possiamo nemmeno pretendere di arginare.
Questo pezzo di storia vissuta nel 2020-21 è un pezzo di storia. Farla diventare cosa così tragica e così assurda, tale da aver distrutto l’intero paese è, per me, sconcertante. Quattro miliardi di abitanti di questo mondo stanno vivendo drammi infinitamente peggiori dei nostri, tra il menefreghismo e la distrazione di tutti noi.
Vogliamo mettere sulla scacchiera tutte le pedine? Vogliamo mettere al posto giusto la nostra pedina? I nostri giovani, se stimolati in modo molto diverso, capiscono più di noi i lati negativi e positivi di questi due anni.
Avere sofferto ed essere stati obbligati, durante il cosiddetto “risveglio di primavera”, a capire perché la tempesta ha rovinato “la stagione”, come succede nel mondo contadino, porta inevitabilmente a riprogettare un dopo tempesta come normale fatto della vita, difficile, doloroso, ma sempre normale se visto dentro la storia. I nostri giovani vanno, perciò, aiutati non a leccarsi e ferite, ma a riprogettare le nuove stagioni.
Noi vecchi dobbiamo smettere di pensare da vecchi e dobbiamo provocare nei giovani la voglia di accettare primavere, tempeste, ed esplosioni della natura, insieme e disposti, proprio perché giovani, a mettere dentro ai loro progetti gli arcobaleni, i temporali, gli inverni e i terremoti.
Non si tratta di addolcire, né di sottovalutare, ma di spiegare loro che questa non è la fine del mondo, ma uno dei tanti fatti che potranno capitare interiormente nella loro vita. Noi abbiamo vissuto le guerre, loro no, però ci sono tante tipologie di guerre. Per quasi cento anni, sempre noi vecchi, abbiamo raccontato di guerre e di dopoguerra, rischiando l’ideologia, quasi le guerre fossero le unità di misura della nostra società.
La società che abbiamo costruito nel dopoguerra è una “struttura antisociale ed emarginante”. Tutto si sta quotidianamente svolgendo dentro ai giochi dell’avere, dell’egoismo, del possesso, convinti che stare meglio equivalga a “vivere meglio”.
Giorni fa ho passato un’ora con un ragazzo egiziano arrivato dai barconi, a 13 anni. Oggi ne ha 21. Solo la terza volta ce l’ha fatta ad arrivare in Sicilia. Le due volte precedenti è stato ricacciato indietro e ha visto morire decine e decine di compagni. Arrivato a Milano, è vissuto con alcuni suoi “amici”, egiziani, anche perché non conosceva la lingua italiana. È stato ai loro giochi, spaccio, violenza, clandestinità. Poi la galera. Ed oggi è con noi, sorriso sconfinato, felice di aver trovato, ancora senza i permessi dovuti, una realtà come la nostra.
Davanti alle mie preoccupazioni e alle mie domande, per come aveva vissuto gli anni del covid, lui, sorridendo ancora di più, mi ha guardato e mi detto: “Ma lei si immagina la mia vita e la vita dei miei amici? Lei pensa che il coronavirus ci abbia spaventati? Ma voi qui avete l’idea di come gira il mondo?”
Mi sono venuti i brividi, un ventenne, quasi analfabeta, irregolare, alto due metri, che mi si pianta davanti al naso, con una frase così potente e sconvolgente. È vero, noi, anch’io che credo di essere diverso dentro la società in cui vivo veramente, la frase la pensiamo, ce la raccontiamo, ma quando è ora, la scansiamo e ritorniamo dentro al nostro “paesino” e dentro ai nostri vergognosi egoismi. Del mondo non ce ne frega niente!
Ed ecco il Decalogo che ho pensato per il dopo-covid, perché “tutte le battaglie della vita ci danno insegnamenti”:
1. Nell’alfabeto della vita le parole amore, dolore, speranza, mistero, devono far parte del tuo quotidiano
2. La vera tristezza non è quando la sera non sei atteso da nessuno al tuo rientro a casa, ma quando spegni l’abat jour perché non attendi più niente della vita.
3. Abbiamo tutti nel nostro passato una soffitta vera o virtuale: disordinata, tenera, spaventata, rischiosa. Torna di tanto in tanto a rovistarla.
4. Devi smentire il detto per il quale sarebbero più numerosi gli uomini che alzano muri, di quelli che costruiscono ponti.
5. Un uomo saggio non mette mai fretta alla storia, ma la accetta intera.
6. Diventerai grande il giorno che saprai trovare la verità e la felicità anche dentro le solitudini, le tragedie e le commedie dei tuoi vicini.
7. Tutte le battaglie della vita servono ad insegnarci qualcosa: soprattutto quelle che perdiamo.
8. Lo stolto cerca la felicità lontano, il saggio la trova guardandosi attorno.
9. Ad una persona felice basta un sacco a pelo, ad un infelice non basta una villetta.
10. Il bello del futuro è che un coronavirus può accadere anche domani e per te deve essere, solo e sempre, un “pezzo di vita” straordinario.
Continuano sul n. 9/2021 del settimanale Oggi le riflessioni di don Antonio Mazzi su 10 temi importanti legati alla famiglia, alla società, alla dimensione educativa, alle relazioni, al nostro tempo. Il fondatore di Exodus richiama l’attenzione su genitori, figli, sentimenti, fede e molto ancora. E lo fa attraverso 10 punti per ogni argomento: in forma di decalogo, quindi. In questa seconda puntata affronta il tema dei figli, bambini e adolescenti. La serie dei decaloghi di don Mazzi prosegue su Oggi: da leggere e conservare.
don Antonio Mazzi su “Oggi” n. 27/2021