Carissimi,
faccio un po' fatica a chiamarvi maturandi, perché con voi giovani non riesco più ad usare vocabolari gonfi di parole artificiali, degne forse di altri tempi e di altre temperature sociali.
Vorrei tanto che si invertissero i giochi e che fosse la commissione d’esame a maturare ascoltando storia dopo storia ciascuno di voi. Non uso il verbo interrogare, ma ascoltare. L’altra arte del tavolo, quest’anno, dovrebbe capire che una scuola vera non è solo quella efficace ed efficiente, architettonicamente perfetta con gli stage a New York. Urge fare sintesi tra materie e meriti con le primavere esuberanti che per cinque anni hanno spadroneggiato dentro al vostro corpo.
Ginevra in una e-mail mi scriveva: “Ti ricordi che una volta, mentre stavo molto male a causa dei deliri che avevo, mi hai chiuso il libro di letteratura e mi hai detto che in quel momento ero come un neonato che doveva imparare a camminare facendo un piccolo passo alla volta?”
È bello sentire e dirsi cose come queste. Andate all’esame e fate capire che la scuola per voi, non è un momento complementare e che loro, i docenti, dovrebbero trasformare le materie (brutta parola) in trasfusioni polivitaminiche, interpretative dei vostri stati d’animo. “Il Don ha parlato di speranza, di amore – scrive Andrea – di godesi la bellezza, di sorridere: tutti temi che toccano corde molto significative per me e che mesi fa avevo rischiato di rompere… Stamattina a scuola volevo urlare che mi amavo, che amavo il mondo, che mandavo a quel paese Aristotele, Dante, Pitagora, il terrorismo… Devo credere di più in me stesso!”
Questo voglio dirvi: non fermatevi troppo sulle ore, chiusi in camera davanti al computer o passate sui banchi della scuola. Ripetetevi quello che Simone mi ha detto: “Vorrei poter gridare e far sentire ad ogni filo d’erba che io sono qui, che mi esplode la vita dentro e che la vita voglio viverla intera, metabolizzando tutto quello che mi offre, lasciandomi travolgere dalle sue emozioni”. Simone, due anni fa, dopo la maturità, è andato a fare il Servizio Civile in Brasile.
Vi ho scritto quello che mi dettava il cuore e il cuore non ama la logica. Torno, per chiudere, al concetto iniziale. La scuola vi può aiutare a rimettere al suo posto la parola. Dice Massimo Recalcati: “Gli insegnanti dovrebbero difendere il carattere epico della parola, rifiutando di ridurla a pura comunicazione e recuperare, insieme a voi, la sua dimensione profetica”.
Prendete l’esame come un brano della vostra storia. Auguri, ciaociaociao!
intervista a don Antonio Mazzi di Fulvio Fulvi