Più volte andiamo parlando delle bravate dei nostri adolescenti. Ci sono due aspetti che vanno sottolineati, oltre al voltastomaco che certi vandalismi provocano. La prima riflessione deve partire da noi adulti. Forse la parola riflessione non sottolinea con sufficienza quello che la società dovrebbe fare. Riflettere, parlare, denunciare, indignarsi, lo facciamo da troppo tempo. Poi, rimaniamo, come è successo in piazza Plebiscito, allibiti e sconvolti. Tutto finisce li. Ai nostri ragazzi dobbiamo proporre testimonianze ed esperienze che compensino i troppi vuoti di senso nei quali li lasciamo.
L’energia, la vitalità, lo sviluppo velocissimo del corpo, fatto di braccia, gambe, voglia di prevalere e di esibirsi, soprattutto se in gruppo, privato della sensibilità, della capacità di interpretare storie, fatti, situazioni particolari, esige interiorità e quel minimo di crescita, collegata alla visione globale della società sbilanciata e più attenta allo spettacolo che alle sofferenze e ai richiami di solitudini, di incapacità di ascolto, di accoglienza e di trasformazione delle relazioni in autentiche convivenze e in sagge compartecipazioni.
Questa scultura del bimbo di Jago, presa a calci dal solito gruppo di vandali, orfani di esempi, di esperienze positive, e di occasioni forti, provocatorie, solidali, seguite da adulti con la pazienza e la capacità di interpretare metodi e tempi, rappresenta purtroppo non un caso sporadico. Questo bambino rannicchiato dal viso sofferente e legato a terra da una catena che sostituisce metaforicamente il cordone ombelicale, rappresenta anche la storia di molti dei nostri ragazzi e forse anche l’infanzia di qualcuno dei cinque vandali.
Ed è questa la seconda dolorosa riflessione che torno a ripetere da qualche tempo. Le nostre famiglie vanno aiutate in tutta l’Italia. Smettiamo di parlare di alcune località rispetto ad altre. Il periodo dell’adolescenza non va solo discusso e dibattuto in televisione o nelle terze pagine dei giornali. È terribile quello che fa intuire la catena che sostituisce il cordone ombelicale. Non è sufficiente mettere al mondo i nostri figli. C’è un secondo cordone ombelicale che non si ferma ai primi tempi o ai primi giorni.
Troviamo un nome diverso, ma l’adolescenza esige “cordoni” adatti ad una seconda nascita. L’adolescenza è una stagione che deve aiutare i nostri ragazzi a capire che cosa sta nascendo dentro di loro, come ordinarlo, come esternarlo e come viverlo.
Dobbiamo tutti fare un passo più convinto e deciso, perché i segnali che ci arrivano, non possono aspettare e tantomeno possono essere risolti con le punizioni. Deve tornare in campo il primato dell’educazione.
Don Antonio Mazzi