In questi giorni sono partite due nuove avventure con ragazzi e ragazze forse meno fortunati di altri. Dopo più di 36 anni siamo ancora in partenza, quante esperienze, quante persone, quanti inizi…
Mi sto sempre più confermando nella convinzione che a noi tocchi il compito di aprire nuovi percorsi, non è nelle nostre corde la costruzione di strutture, di istituti, di grandi complessi, di impianti, pure tutti necessari…
Sentieri e non strade. Aprire dei varchi anche in circostanze che si mostrano quasi impossibili. Serve nell’economia generale, in questo post pandemia, per me, per noi, per l’Italia, per il mondo, ed è nostro dovere tracciare sentieri. Non strade ampie dove viaggiano tanti veicoli appaiati, in coda, ma piste piccole, nel deserto oppure nella foresta, a volte appena percettibili, precarie, come l’anno scorso abbiamo provato durante il Covid.
Sentieri che chiedono di andare, di alzarci dalla sedia e spostarci, e non case dove si sta fermi. Toccherà ad altri costruire case. Noi dobbiamo metterci e mettere in movimento, siamo esodo, una via di uscita. Sempre in cerca di una liberazione mai pienamente raggiunta ma non per questo siamo insoddisfatti, anzi, sempre grati dei benefici del viaggio, delle scoperte impreviste, degli incontri, dello stupore di ogni nuovo giorno. Pronti per ripartire.
Tracciare sentieri, marcare linee, suggerire link, lasciare segni che indicano una direzione, che mettono in comunicazione punti diversi. Persone diverse, spazi diversi, idee diverse. Andare da un posto ad un altro. A noi tocca creare una comunicazione, una relazione, senza preoccuparci più di tanto che sia perfetta. Accettare la fatica di stare nel mezzo, scomodi, di lasciare un luogo sicuro per incamminarsi verso ambienti sconosciuti che provocano domande. Aprire non chiudere le domande.
Sentieri da tracciare, vie da immaginare senza un manuale di sopravvivenza, ma coniugando cuore e intelligenza. È questa una grande scommessa: non farsi guidare solo dalla pancia, e neppure solo dal cervello ma procedere senza troppi sbilanciamenti, con fantasia e coraggio ma pure con tanta, tantissima umiltà sincera.
I nostri sono cammini che si compiono con bagagli leggeri, e in compagnia, per non scoraggiarci, per portare a turno lo zaino, per una birra e un canto davanti al fuoco la sera. Cammini dove si procede insieme, sotto il sole, nella nebbia o sferzati dalla tempesta, comunque, comunque, il tempo che conta è quello che sta dentro. Cammini alternati a soste, come sistole e diastole, il giorno e la notte: abbiamo imparato l’importanza delle soste! Non siamo super eroi, accettiamo la stanchezza e i piedi gonfi. Prendiamo il passo di chi non ce la fa. E poi godiamo dell’ospitalità e di un piatto caldo.
Camminiamo anche oggi dopo tanti anni, senza la pretesa di insegnare a qualcuno ma avvertendo la responsabilità davanti a noi stessi e ai più piccoli, davanti ai meno fortunati, a chi ha sbagliato nella vita, a chi ha subito ingiustizia e a chi le ha provocate, perché si sveglino le coscienze di chi se ne sta a guardare dalla finestra sentendosi innocente, perché il movimento del nostro cammino congiunto a tanti altri cammini di tanti altri movimenti possa rendere un po’ più giusto questo nostro mondo. Camminiamo perché c’è una terra promessa. Si, anche per questi dieci adolescenti partiti in questi giorni, che insieme apriranno una loro nuova via.
Franco Taverna, Coordinatore Exodus Progetti Povertà educativa