“La chiusura dell’oratorio capita più raramente ed è prevista nel caso si voglia dare un segnale di scossa a tutti. Ecco… Tutto qui! Se sembra strano, preoccupiamoci sul serio”. È la chiusura del lungo post su Facebook che il parroco di Cicognara (MN) ha scritto qualche settimana fa in seguito alla sua decisione di chiudere l’oratorio, in seguito ai tre gradi di comportamenti maleducati (ammonizione, cartellino giallo e infine quello rosso) tenuti da ragazzi che non rispettano il luogo.
Anch’io sono molto preoccupato, non per il cattivo contegno dei maleducati, ma per il metodo usato dal prete dell’oratorio arrabbiato. Vivendo, io, tra ragazzi ben più difficili di quelli di Cicognara, non ho chiuso le comunità, ma le ho raddoppiate e ho preparato gli educatori non i sorveglianti o i custodi. Perché il problema sta tutto qui, cioè nella presenza di adulti preparati che non vengono per “tenere in ordine” ma per aiutare i giovani a credere più nella vita sana, sportiva, educata e amichevole.
Nelle mie comunità ci sono ragazzi che hanno storie davvero difficili, eppure con l’aiuto di adulti preparati e con la mia presenza, otteniamo risultati straordinari. Capisco di essere considerato poco prete, ma chi ha un oratorio, deve stare meno in canonica e in chiesa e molto di più tra i “suoi” ragazzi. Forse l’altro pensiero che aggiungo sarebbe forse più salesiano che clericale: i preti che gestiscono gli oratori sarebbe opportuno che si vedessero regolarmente e si aiutassero a capire metodi, priorità e teorie educative. E magari da qualche parte in Italia si fa.
Voglio finire, per non tirare le cose serie a lungo. L’oratorio dovrebbe essere proprio il luogo dove “si sentono parole volgari, dove si vedono sedie abbandonate, persone in mutandoni e canottiera e uomini che si levano le croste dai piedi”: mi sembrano cose così normali e quindi così facili da “guarire” che torno a dire, che la mia “rabbia” scaturisce molto di più dalla parola “chiuso”.
don Antonio Mazzi su “Famiglia Cristina” – n.27/2022