Non vorrei collegare le mie riflessioni a seguito dei fatti successi al Beccaria.
Da tempi vado dicendo che il sistema penitenziario minorile non è il metodo migliore da attivare per i ragazzi che sbagliano. Evito con attenzione le parole: pena, colpa, crimine, cioè tutto quel tipo di vocabolario da sempre usato per nascondere la voglia di affrontare seriamente una situazione così importante, delicata, culturale, sociale, educativa ed adolescenziale.
Certamente i fatti che vediamo e sentiamo manifestano irregolarità e afasia di coscienza. Credo, comunque, che si debbano attivare, cercare e scovare con particolare attenzione strutture intermedie e già in parte esistenti che hanno educatori e metodologie che non hanno nulla a che vedere con le “recinzioni” penali.
Le storie di quasi tutti questi giovani risentono di infanzie di povertà, di ambienti, di trapianti e di sofferenze che vanno capite, ascoltate, interpretate e solo dopo risolte senza la fretta, la superficialità e la supponenza di tante persone che tengono sul tavolo queste carte trasudanti di tragedie umane.
Più di un ragazzo è arrivato nelle mie comunità dopo aver attraversato parecchie carceri, anche minorili e sono fermamente convito che, se fosse arrivato prima, avrebbe guadagnato molto, ma molto di più.
Non voglio riferirmi a tutti e non voglio parlare di miracoli, solo cito casi che mi tengo dentro, con nome e cognome. Non ho nessun interesse nel raccontare favole e tantomeno ho voglia di esagerare. Parlano quarant’anni di vita e non un giorno.
Nelle strutture carcerarie c’è la corsa a chi è più mafioso e la sa più lunga di tanti altri, soprattutto se novizi.
Non mi pare tanto educativo giocare a chi si merita la medaglia di eroe, perchè conosce molto bene i giochini possibili e impossibili.
Non credo, inoltre, che non dipenda del tutto dai lavori finiti o da finire, dall’ambiente più o meno carino e dalla quantità e qualità delle guardie e degli educatori.
Create certe strutture, le conseguenze sono già preannunciate. Credere alle carceri-modello faccio tanta fatica, come faccio fatica a credere ai quartieri dove nascono ottimi giovani.
Certe strutture, una volta nate, hanno già gli effetti consequenziali. Smettiamo di prenderci in giro e di far gare per chi racconta prima i misfatti.
Forse educare è più difficile che punire, anche se io, da quarant0t’anni sulla breccia, posso testimoniare che ogni volta che ho scelto la punizione ho ottenuto meno risultati di quando ho tentato di inventare attività educative. Per farvi ridere, le nostre punizioni sono togliere le dieci sigarette giornaliere!
Tornando alle attività rieducative, noi di Exodus abbiamo, diversamente da altri, le Carovane. Siamo nati nel 1984 con una carovana durata nove mesi, con quattordici ragazzi tolti dal Parco Lambro di Milano. Da allora, ogni anno, ogni comunità deve fare una carovana di almeno un mese. Li chiamiamo “cammini educativi”, faticosi, senza regolette da vecchie comunità, senza alimentazioni particolari e senza attrezzature raffinate.
È un’avventura che fa sia chi è in comunità da un anno, come chi è in comunità da una settimana. È il periodo più efficace e migliore dell’intero anno. Forse quelli del Beccaria se l’avessero fatta, non sarebbero caduti in un’azione così infantile e inutile.
Vogliamo rischiare? Trovare una decina di comunità disponibili e preparate per accogliere questi ragazzi delle carceri minorili in gruppetti di tre, non di più?
Don Antonio Mazzi
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don Antonio Mazzi su Corriere della Sera - 29/12/2022