Ci troviamo in una scuola in Italia. Precisamente in un importante Istituto Comprensivo. La dirigente ci invita a proporre un incontro con tutti i docenti all’inizio dell’anno scolastico mettendo a tema il ruolo educativo dell’insegnante, o anche il rapporto tra didattica ed educazione. L’incontro è obbligatorio e, abbiamo previsto tre ore di lavoro in una mattinata prima dell’inizio delle lezioni.
Nel corso della mattinata sono previsti momenti di elaborazione individuale, lavori di condivisione, ripresa dei lavori in assemblea. La partecipazione da parte degli insegnanti è molto buona, decisamente superiore alle mie aspettative. Si arriva quasi al termine dell’incontro e si stanno tirando alcune rapide conclusioni e spunti che saranno ripresi all’interno di una programmazione successiva. Il clima è positivo ed ho l’impressione che, insieme, educatori ed insegnanti, abbiamo ricevuto un piccolo slancio per iniziare l’anno scolastico con il piede giusto. La dirigente ha avuto coraggio, mi dico, non era scontato questo risultato, e ha inquadrato il senso della scuola nella maniera più corretta inserendo l’istruzione nel più grande compito formativo ed educativo per tutti, dotati e meno dotati, coinvolgendo tutto il corpo docente. Penso a quanto sarebbe bello, a quanto sarebbe necessario che tutte le scuole facessero così.
Ma ecco che alle 12 e 15, un quarto d’ora dopo le tre ore programmate, la docente referente con la quale abbiamo preparato l’incontro, si sente in dovere di fare un intervento che non avrebbe voluto fare. Con un certo imbarazzo fa presente a tutti che è stato sforato il tempo previsto per quella attività e perciò sottoporrà alla dirigente il problema di “recuperare” in qualche modo quella mezz’ora.
In un attimo ripenso a tutti i pensieri positivi appena affiorati. Tornano alla mente problematiche e condizionamenti più ampi, distanti da quell’aula scolastica. Ripenso alle difficoltà e alle fatiche incontrate tante volte nelle scuole per trovare con regolarità del tempo per confrontarsi all’interno dei Consigli di Classe sulle situazioni più delicate di alcuni studenti, per tante e tante ragioni particolarmente fragili. La fatica di mettere insieme pezzi di dialogo con insegnanti molto motivati e insegnanti per nulla motivati, di connettere le responsabilità della scuola con quelle dei Servizi Sociali. Mi rendo conto del punto in cui è giunta la deriva pesante dei diritti, della burocrazia della contabilità delle prestazioni a scapito dei rapporti personali e della espressione anche creativa della avventura della maturazione degli adolescenti. Mi domando ancora perché le giuste rivendicazioni sindacali degli insegnanti debbano condizionare e penalizzare la qualità nella conduzione dei percorsi formativi e in ultima analisi del significato stesso della scuola.
Per tutti i ragazzi e tutte le ragazze la scuola è vissuta all’interno del gruppo-classe. Accanto all’impegno di studio personale, la scuola è anche tante altre cose, tante dinamiche tanti rapporti, con diverse personalità, caratteri forti insieme a fragilità e inciampi della vita. In questo affascinante contesto non è possibile che operino adulti-insegnanti chiusi nella propria materia, ciascuno con un suo proprio metodo. Non è possibile, se l’obiettivo è veramente la maturazione completa degli studenti. Serve una comunità di adulti che si parla costantemente, che si confronta senza steccati aperta anche ad apporti competenti esterni ad una alleanza strutturata con la componente educativa, servono Consigli di Classe che si riuniscano ogniqualvolta è utile, per il bene dei ragazzi.
Serve, anzi no, è indispensabile una vera comunità educante. Qui starebbe la vera e necessaria riforma della scuola, ciò di cui ha davvero bisogno oggi.
Franco Taverna, Responsabile Area Adolescenza e Povertà Educativa Fondazione Exodus