Carissimi,
anch’io sono stato un adolescente problematico che voleva farla finita a sedici anni, che ha fatto disperare sempre sua madre, sospeso un giorno sì e un giorno no dalla classe, che non voleva partecipare al sabato pomeriggio fascista. È vero che parlo del secolo scorso e di novant’anni fa abbondanti, però vi garantisco che vivendo da mezzo secolo a tempo pieno nella cascina del Parco Lambro a Milano tra ragazzi borderline, la vostra voglia di rompere non è molto diversa da quella che è stata la mia. Fatemi chiarire una cosa.
Padre ferroviere morto di broncopolmonite a 30 anni (io avevo 13 mesi), poverissimo, nel micro appartamento dei nonni materni e in collegio dai preti per poter mangiare e studiare. Mi dicevano che ero indisciplinato, ma che essendo bravo sarebbe stato interessante farmi fare il liceo.
Sono vissuto malissimo dai preti, non perché la scuola del liceo vescovile fosse peggiore delle altre, ma perché la balordaggine che mi portavo dentro era prepotente. Orari, disciplina, regole, preghiere non le sopportavo. Non avevo capito molto dell’adolescenza ma custodivo un profondo disagio dentro me e me (anche senza il Covid). I sogni galoppavano più delle avventure di Ulisse e di Ventimila leghe sotto i mari di Verne. Il banco e lo scranno del pomeriggio puzzavano più di reclusione che di compiti da fare a casa. Un’altra furbata mia erano i libri che rubavo dalla biblioteca. Sono stati un po’ quello che oggi (forse) sono per voi i telefonini.
Ho avuto due persone che in parte mi hanno salvato senza essere Recalcati, Mancuso o Andreoli: l’insegnante di educazione fisica e musicale e il pittore Franco Ferlenga che da partigiano viveva nascosto nel convento di Maguzzano sul Lago di Garda, dove eravamo sfollati come scuola, per evitare i bombardamenti. Quando mi vedevano nell’atrio fuori dall’aula perché sospeso, o l’uno o l’altro mi venivano a prendere: Ferlenga perché mi usava come ragazzo che “posava” per il quadro di don Bosco che stava dipingendo; e fratel Gnesotto che mi portava a suonare l’armonium.
Quando nel 1978 sono venuto a Milano per dirigere un Centro di formazione professionale con un migliaio di giovani, ho incontrato il terrorismo con Balzerani, Morucci, Faranda, Fioroni, e la droga. Questi due mondi li ho combattuti e capiti perché la parte più politica me la portavo dentro dall’adolescenza.
La mia guerra solitaria fu fatta di sogni appena odorati, di amori fortemente desiderati e di rabbie che fortunatamente solo più tardi sono riuscito ad incanalare. Alcuni lunghi colloqui fatti con Danat Cattin di Prima Linea hanno fatto sì che la morte dei padri, che io avevo veramente vissuto, trovasse il modo per essere non causa di tragedie ma occasione di percorsi costruttivi. Ai bordi del Parco Lambro, tra i quasi cadaveri, con i giornalisti Piero Colaprico, Antonio Di Bella e gli obiettori di coscienza abbiamo capito che le carovane, i cammini e le adolescenze masticate bene potevano diventare progetti alternativi.
Cari adolescenti, se mi state ancora ascoltando (leggendo), vorrei capiste che dentro avete infinite possibilità. Non ascoltate quegli adulti che vi dicono che vivete di rabbie e di depressioni. A voi mancano i liberatori, i Noè, i Mosè, il Cristo “non cattolico”. Le parole “pacifici, miti, poveri, misericordiosi” le ha dette lo stesso ribelle che ha sbattuto fuori dal tempio coloro che lo avevano usato come luogo di mercato. Dovete credere che se vi guardate dentro come è successo a me, trovate il modo pacifico per fare la rivoluzione vera. Ne abbiamo tanto bisogno.
A 95 anni sto ancora vivendo l’aurora, perché la ribellione di ieri è diventata solidarietà di oggi e la poesia è risultata più vera della violenza.
Don Antonio Mazzi – sul Corriere della Sera – 28 marzo 2024